Terme Acque Albule: risorsa o problema?

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Le vicende che nel corso del tempo si sono susseguite intorno alla Società Acque Albule hanno sempre avuto un grande appeal sui tiburtini. Hanno attirato la loro attenzione e sono state motivo di pettegolezzo vario. Mai, però, la città ha ben compreso, a mio avviso, la reale portata di quelle vicende che sono state vissute in un mare di indifferenza o di strumentalità acclarate. La Società Termale era pubblica al 100% quando, nel 2001, si prospettò il pericolo del fallimento, e tale sarebbe stato se si fosse dato conseguenza alla richiesta presentata da un fornitore che vantava crediti importanti nei confronti della stessa società termale. La particolarità della normativa in vigore prima della riforma del 2004 prevedeva che, in caso di fallimento, il socio in possesso del 100% delle azioni di una società di capitali fosse illimitatamente responsabile nei confronti dei creditori. Questa era la situazione della Società Terme Acque Albule in quel lontano 2001.

Terme Acque Albule
Terme Acque Albule

La privatizzazione

La privatizzazione parziale apparve come l’unica strada percorribile al fine di immettere nelle esauste casse societarie la liquidità necessaria senza il ricorso al finanziamento pubblico, cioè del Comune di Tivoli, come era sempre avvenuto in casi simili con notevole nocumento al patrimonio finanziario pubblico, quindi di tutti i cittadini. Ciò avrebbe causato un danno rilevantissimo al Bilancio di Palazzo San Bernardino, tanto da trascinarlo nelle secche del default. L’Amministrazione comunale decise per la scelta della parziale privatizzazione pubblicando un bando pubblico europeo in cui fissò le condizioni di riferimento.  Al Bando rispose soltanto un interlocutore, cioè la Sirio Hotel di Terranova Bartolomeo che versò nelle casse societarie, tra prezzo della quota del 40% e sovrapprezzo, circa 8,3 miliardi di lire che, attualizzati in euro al 2024, corrisponderebbero grosso modo a circa 6,5 milioni di euro di oggi, con un successivo aumento di capitale sociale al quale il Comune di Tivoli partecipò conferendo un terreno vincolato, per decisione del Consiglio Comunale,  da utilizzare soltanto nel perimetro del core business societario, cioè per immobili destinati a sostenere l’offerta turistica della società termale, mentre il socio versò denaro contante. Poi, ci fu l’operazione successiva relativa alle obbligazioni convertibili che aumentò ancora e in maniera sensibile il patrimonio societario. Tali somme vennero devolute, soprattutto inizialmente, tutte alla patrimonializzazione della Società al fine di dotarla dei mezzi necessari per far fronte alla gravissima situazione debitoria venuta alla luce nel dicembre del 2000 e per finanziare il piano successivo di sviluppo aziendale. Vennero sottoscritti dei patti parasociali, da rinnovare ogni cinque anni, con lo scopo di regolamentare alcuni aspetti gestionali della società in seguito all’ingresso del gruppo privato. In particolare, si stabilì che la gestione ordinaria veniva lasciata alla parte privata che, all’interno del Consiglio di amministrazione composto da tre elementi, ne avrebbe espressi due con il riconoscimento del ruolo di Amministratore Delegato dell’Azienda ad uno dei due, mentre il Comune, cioè il socio Pubblico, avrebbe espresso un solo membro che avrebbe ricoperto la carica di Presidente della Società. All’interno di questi patti venne inserita una clausola, la cosiddetta opzione Put, che obbligava il Comune al riacquisto del 40% rilevato dal privato in caso di mancato rinnovo dei patti parasociali.

 

Il non rinnovo dei patti

Nel 2012 il Comune decise, Sindaco Gallotti con una maggioranza di CDX, di non rinnovare i patti.  Nello stesso anno, precisamente il 16 dicembre del 2012, FINCRES, subentrata a Sirio Hotel, esercitò l’opzione PUT e venne nominato, sulla base dei patti parasociali a suo tempo sottoscritti, un Collegio di periti per procedere alla valutazione della quota pari al 40% in mano ai privati. Il Comune non nominò il proprio perito, pertanto la parte avversa chiese al Tribunale, come ampiamente previsto dal patto richiamato, la nomina coatta del Perito mancante. Il Collegio il 21 settembre del 2015 si pronunciò in via conclusiva e decise che il valore della quota Fincres alla data del 2012, cioè dal momento in cui il Comune disdettò i patti, fosse pari a € 14.915.000. A questo punto il socio privato invitò il Comune a adempiere all’obbligo, senza però ricevere risposte. Siamo al 7 ottobre del 2015.  In quello stesso anno, in assenza di risposte da parte del Comune, Fincres adisce le vie legali per il riconoscimento del proprio credito e per ottenerne il pagamento. Il Comune rispose costituendosi presso il Tribunale delle Imprese di Roma a difesa delle proprie ragioni che si basavano soprattutto su tre aspetti: 1) Il valore è incongruo; 2) i Patti parasociali vennero disdetti oggettivamente nel 2006 perché la specifica delibera fu di Giunta e non di Consiglio, anche se successivamente venne portata a ratifica del Consiglio Comunale; 3) Il Comune di Tivoli non può detenere partecipazioni in società non strategiche in ossequio alla legge 175/15.

In attesa del 13 gennaio 2025

Il 18 luglio del 2018 le parti chiedono una sospensione consensuale del giudizio al fine di definire bonariamente e in altra sede il contenzioso. L’accordo non viene trovato e il 14 febbraio 2020 il Tribunale si pronuncia riconoscendo le ragioni di FINCRES e smontando, una per una, tutte le opposizioni di controparte, cioè del Comune di Tivoli. Il 10 marzo del 2021 lo stesso Tribunale sentenziò che il prezzo da corrispondere a FINCRES da parte del Comune di Tivoli fosse di € 7.840.000,00 contro la richiesta iniziale di parte privata pari a € 14.915.000,00, più interessi nella misura legale e obbligò il Comune di Tivoli a procedere nel merito.

Il socio privato ricorse in appello il 29 ottobre del 2021 richiedendo di nuovo il riconoscimento di quanto a suo tempo definito dal Collegio peritale che valutava la quota in possesso di Fincres esattamente il doppio di quanto sentenziato dal Tribunale di Roma. Il Comune nell’appello contestò di nuovo la validità del patto di sindacato, insistendo ancora sul presunto divieto ai sensi della legge 175/15 di acquisire partecipazioni in S.p.A. non strategiche per gli Enti Locali, rinnovando la non congruità del prezzo richiesto da Fincres e puntando al riconoscimento pieno degli interessi alla sola misura legale dal 2012 al 2021, data del ricorso della stessa Fincres contro la sentenza di primo grado. La Cassazione il 24 maggio 2023 deliberò definitivamente in ordine alla validità del rinnovo del Patto di Sindacato del 2006, togliendo all’arco del socio pubblico una freccia determinante. Il 13 gennaio 2025 la vicenda dovrebbe definirsi nella sua seconda tornata processuale con una sentenza specifica, anche con la più esatta quantificazione del costo degli interessi passivi che Fincres ha sempre valutato in € 4.986.000,00.

 

 

 

Nel corso di questo lasso di tempo cadenzato dall’andamento della causa presso il Tribunale di Roma le parti si sono parlate attraverso lettere ufficiali. Il giorno 11 giugno 2021 Fincres diffida il Comune all’eseguire quanto stabilito con la sentenza del 2021, fatto salvo quanto successivamente definito in ordine al calcolo esatto degli interessi passivi. In data 22 ottobre 2021 il Comune invita Fincres ad accettare a saldo definitivo del contenzioso la cifra di € 8.942.000,00, comprensiva degli interessi di riferimento. Il 25 ottobre dello stesso anno Fincres risponde ricordando che è la parte pubblica a dover dar seguito a quanto disposto dal Tribunale e che il quantum complessivo, in ogni caso, sarebbe di € 12.826.000,00 e non di € 8.292.000,00 come sostenuto dal Comune di Tivoli. Nella stessa lettera Fincres ribadisce la propria disponibilità ad accettare un primo pagamento di € 8.292.000,00 con riserva di reclamare i maggiori importi eventualmente definiti in sede di giudizio pendente. A sostegno di questa posizione invia al Comune di Tivoli le proprie coordinate bancarie per l’accredito del bonifico di riferimento. Il Comune di Tivoli non risponde. In data 23 luglio 2023 Fincres invia al Comune di Tivoli, e per conoscenza alla Corte dei conti, una comunicazione via pec con cui ricorda di aver opposto appello alla sentenza del 2021 in merito sia al prezzo rivendicato sia al calcolo degli interessi di riferimento. Nella stessa comunicazione Fincres rammenta alla parte opposta e, di conseguenza alla Corte dei conti, che la Cassazione ha definitivamente sentenziato nel merito del rinnovo pattizio del 2006 riconoscendone la piena e totale validità.

L’appello del Comune di Tivoli

Ricapitolando, il rinnovo dei patti del 2006 era valido e quindi viene smontata una parte fondamentale della difesa del Comune di Tivoli, l’appello del Comune di Tivoli del 2 novembre del 2021 è incidentale e, quindi, ricompreso nel recinto dibattimentale avviato con la richiesta di revisione avanzata da Fincres contro la prima sentenza del medesimo anno, il motivo del contendere non è più se il Comune deve riconoscere a Fincres quanto stabilito con l’accettazione dell’opzione PUT ma, semmai, quanto il Tribunale deciderà che il Comune di Tivoli dovrà riconoscere al socio privato sia relativamente al prezzo della quota del 35% rimasta nelle sue disponibilità, sia all’ammontare degli interessi passivi da riconoscere a Fincres. In ogni caso, per il Comune di Tivoli sarà una bella gatta da pelare.

Nel mese di luglio del corrente anno la nuova maggioranza di CDX, una cui parte era in Amministrazione con Proietti durante la gestione del contenzioso con Fincres, ha prima presentato e poi ritirato una delibera per il riconoscimento del debito fuori bilancio relativo al contenzioso Termale con riferimento alla prima sentenza del 2021. Il debito sarebbe stato coperto con il ricorso ad un prestito di medesimo importo concesso da Cassa Depositi e Prestiti a venti anni, mentre la parte degli interessi passivi avrebbe trovato un corrispettivo contabile nei fondi accantonati nei capitoli appositi del Bilancio comunale nel corso del tempo. L’articolo 194 del TUEL sostiene che con deliberazione consiliare di cui all’articolo 193, comma 2, o con diversa periodicità stabilita dai regolamenti di contabilità, gli enti locali riconoscono la legittimità dei debiti fuori bilancio derivanti da sentenze esecutive. La sentenza emessa dal Tribunale di Roma non è esecutiva in quanto è stata successivamente appellata. In pendenza di un appello non è possibile, a parere di chi scrive, procedere al riconoscimento del debito in quanto lo stesso non è stato definito con certezza stando il fatto che il ricorso in appello, a cui il Comune di Tivoli ha risposto proponendo appello incidentale, è finalizzato proprio alla definizione delle somme da dare e da ricevere, sia per la parte relativa alla quota partecipata da Fincres sia per l’ammontare degli interessi da riconoscere. Il Collegio dei Revisori del Comune di Tivoli nel verbale del 24 luglio 2021, a pag. 5, ha sostenuto che la sentenza del 2021 non è da ritenersi esecutiva e che pertanto non è possibile procedere al riconoscimento dello specifico debito. In quello stesso verbale il Collegio dei Revisori diede parere parzialmente positivo, ribaltando un parere parzialmente negativo immediatamente precedente, alla proposta di assestamento 2021 in quanto il permanere degli equilibri di bilancio risultava condizionato dalle azioni che sarebbero state intraprese per far fronte a quanto stabilito dal Tribunale delle Imprese di Roma con la nota sentenza negativa per il Comune di Tivoli del 2021. All’opposto, con verbale del 24 luglio 2024 relativo alla manovra di assestamento di Bilancio 2024 lo stesso Collegio dei Revisori ha dato parere positivo alla procedura di riconoscimento del debito fuori bilancio non ritenendo più idonee le argomentazioni oppositive adottate con il verbale negativo del 2021, pur ribadendo nel corpo del verbale l’applicazione dell’articolo specifico del TUEL che consente tali riconoscimenti solo in presenza di una sentenza esecutiva e, quindi, definitiva. Ovviamente, è possibile procedere al riconoscimento del debito anche in presenza della semplice volontà delle parti definita contrattualmente, ma questo passaggio non si è mai verificato. Orbene, L’articolo 7, comma 7, della legge 131/2003 ha inserito l’attività consultiva tra le funzioni della Corte dei conti. Per questo motivo è lecito inoltrare alla competente sede regionale della Corte specifico quesito in ordine alle procedure da adottare, o da non adottare, per procedere eventualmente al riconoscimento del debito fuori bilancio connesso con la vicenda termale. Tale passaggio risulta fondamentale per evitare di commettere errori che potrebbero essere di grave nocumento sia alle finanze dell’Ente Locale sia per i deliberanti, in sede di accertamento delle responsabilità in caso di successivo e acclarato danno erariale connesso proprio con tali vicende.

La questione politica

Poi c’è il dato politico, connesso con le specifiche responsabilità, che discende da un tale viluppo di accadimenti così complesso e complicato da lasciare sicuramente interdetti per come si è snodato nel tempo. Il tutto parte da una maggioranza di CDX (Gallotti, 2010) che ha sbagliato a non rinnovare i patti in presenza di una validità del precedente rinnovo acclarata definitivamente dalla Cassazione con la sentenza del 2023. Poi, c’è stato l’intermezzo decennale di Proietti, sostenuto anche da alcuni Consiglieri che oggi sono in maggioranza con Innocenti e, questa è la contraddizione più simpatica, anche da qualcuno che adesso è all’opposizione di Innocenti e degli stessi consiglieri che all’epoca insieme a loro hanno governato sotto l’egida accademica di Proietti, che ha preferito alimentare il contenzioso anziché chiuderlo con un accordo transattivo. A un certo punto Proietti presentò ben 12 soluzioni diverse e alternative al Consiglio Comunale senza che alcuna di esse sia stata utilizzata per tentare di risolvere il problema. Famosa fu l’idea scellerata della scissione asimmetrica che, in verità, tutto avrebbe definito tranne un vantaggio per la parte pubblica. Il Comune nel corso degli anni, né con Gallotti, né, soprattutto, con Proietti nel corso dell’intero suo decennio mai ha provveduto ad accantonare in un apposito fondo i mezzi necessari per poter affrontare la questione in termini finanziari dinanzi alla probabilissima possibilità di soccombenza nella causa allora in corso, come del resto sostenuto dalla stessa avvocatura comunale nelle valutazioni legate al contenzioso presenti nelle usuali Relazioni di accompagnamento ai Bilanci consuntivi dell’Ente. È certamente vero che dal 2016 i fondi accantonati non possono essere utilizzati per una cifra superiore a quella riconosciuta per le quote annuali imposte dai piani di rientro dal deficit acclarato, che per il Comune di Tivoli ammontano a € 2.200.000,00. Però, occorre anche dire che tale norma prima del 2016 non c’era e che non è possibile giustificare in questo modo le proprie carenze rammentando una norma che nei cinque anni precedenti era del tutto assente, tenendo conto che il contenzioso è iniziato addirittura nel 2012. E poi, a ben vedere, esisterebbe in ogni caso la possibilità tecnica di utilizzare gli eventuali fondi accantonati alla bisogna qualora da ciò dipendesse l’equilibrio dei conti dell’Ente. Ora una maggioranza di CDX dovrà dare le risposte ad un caos generato da un’altra maggioranza di CDX e da una mascherata di CDX che nel decennio proiettiano ha amministrato la nostra città, soprattutto nel primo quinquennio. 

Le decisioni strategiche

Alla fine, però, il problema delle Terme non si esaurirà con la chiusura della vertenza legale con il socio privato. Il problema vero saranno le decisioni strategiche in ordine alla gestione futura di questo asset di enorme importanza per lo sviluppo del territorio. Chi scrive ritiene che lo stabilimento termale debba essere inserito all’interno dell’ampliamento del Parco Termale al territorio del Comune di Guidonia Montecelio e del Comune di Roma, in modo da creare una contiguità geografica a sostegno di scelte strategiche diverse dal passato. In questo modo si risolverebbe anche l’altra eterna questione legata alle polle sorgive che sfruttano un bene pubblico, cioè l’acqua termale, senza pagare un tubo al suo legittimo proprietario pubblico. Poi, c’è la prospettiva, anch’essa strategica, sul futuro della Società Termale e dello Stabilimento specifico. A mio avviso si rende necessario ampliare la compagine sociale ad altre entità pubbliche (per esempio Comuni di Guidonia M. di Roma, alla Città Metropolitana e alla Regione Lazio) al fine di dare spessore sia ad un rinnovato progetto industriale sia all’ipotesi di sviluppo territoriale integrato legata al definitivo decollo del progetto Parco Termale. Tanto più che nel 2031 scadrà l’attuale convenzione tra Comune di Tivoli e Regione Lazio e che, proprio in base a questo, qualsiasi ipotesi di nuova privatizzazione andrà incontro ad un deludente risultato. In questo contesto è altresì possibile coinvolgere anche gruppi privati a cui affidare, tramite una partecipazione minoritaria al capitale societario, la gestione vera e propria dello stabilimento. 

Il progetto iniziato nel 2001 attraverso la scelta della privatizzazione parziale ha prodotto, nel tempo, il risanamento dei conti societari, il finanziamento di un Piano Industriale che, tra le altre cose, ha comportato la costruzione di un albergo quattro stelle all’interno del perimetro termale e il rinnovo completo delle stesse attrezzature termali. Tutto ciò non è stato pagato dalle casse comunali, ma da quelle societarie. Chi scrive ha stimato in circa dodici milioni di euro il complesso dell’investimento finanziato nei primi dieci anni di nuova gestione para privata, mentre dal 2012, anno in cui è iniziato il contenzioso avviato dal Comune di Tivoli con il mancato rinnovo dei Patti Parasociali e il mancato riconoscimento della legittimità dell’esercizio dell’Opzione PUT da parte del socio privato, tale piano di investimenti è stato praticamente bloccato. 

Parte di queste risorse sono uscite direttamente dalle casse societarie e parte sono state fornite, a debito, dagli Istituti di credito con piani di ammortamento che la Società ha puntualmente pagato. Dal 2001 in poi, con l’unica eccezione del periodo pandemico, la società ha prodotto consistenti utili che sono stati annualmente ripartiti tra i soci. Il Comune di Tivoli ha incassato il 60% di questi utili. Si stima che, tra il 2002 e il 2019, il Comune di Tivoli abbia incassato dalla società termale a gestione parzialmente privata circa 5,5 milioni di euro, a fronte della situazione precedente che troppo spesso vedeva l’Ente costretto a risanare bilanci quasi ogni anno o con risorse finanziarie proprie o con trasferimento di asset patrimoniali comunali. In ogni caso creando nocumento e disagi al Patrimonio comunale. Infine, non bisogna mai dimenticarlo, la Società paga al Comune i diritti di sfruttamento della risorsa termale con versamenti annuali definiti dall’apposito contratto di subconcessione mineraria. Sempre sulla base di stime negli ultimi venti anni il Comune di Tivoli a questo titolo dovrebbe aver incassato circa 700 mila euro.

Sulla vicenda termale ci sono state molte sentenze che hanno ribadito: 1) la correttezza dell’operazione di parziale privatizzazione del 2001, con la sottolineatura che il sovrapprezzo negoziato fatto pagare all’epoca al gruppo Sirio Hotel era più del doppio di quello accertato in sede di valutazione dal CTU nominato dalla Procura del Tribunale di Tivoli (2003), procurando pertanto un indubbio vantaggio alle casse pubbliche e smontando tutte le dicerie dei soliti noti che contro la privatizzazione avevano puntato tutte le proprie carte elettorali; 2) la correttezza del rinnovo dei patti parasociali del 2006 (Cassazione 2023); 3) l’inconsistenza delle assurde motivazioni assunte dal Comune di Tivoli sia nell’era gallottiana sia in quella proiettiana, e ci si riferisce all’intero decennio, (2021). 

In particolare, nel 2014, il Collegio Arbitrale composto dal Prof. Dott. Bruno Ferraro nella sua qualità di Presidente, dal Prof. Avv. Valerio Di Gravio e dall’Avv. Antonino Galletti condannò il Comune di Tivoli al pagamento di € 78.368,96 quale risarcimento del danno subito da Sirio Hotel S.R.L. e di € 33.000,00, oltre IVA e Cpa, in favore della stessa Sirio Hotel S.R.L. quale quota non compensata delle spese di lodo.

Nel dispositivo del Lodo veniva altresì definita la validità dell’Art. 10 dei patti parasociali stipulati in data 29 novembre 2001 e la piena legittimità dell’esercizio da parte della medesima Sirio Hotel S.R.L. dell’opzione PUT in esso contenuta. Tuttavia, il Lodo richiamato appare importante perché il Collegio censurò in via definitiva il comportamento del Comune (epoca Gallotti) in conseguenza della violazione dei patti parasociali che comportarono anche il blocco “imposto dal Consiglio di amministrazione della Acque Albule (composto in violazione dei Patti e, quindi, in maggioranza con membri designati dalla parte pubblica. NdA), nella composizione avutasi a seguito dell’inadempimento ai Patti, alla sottoscrizione di nuovi preliminari di vendita…il Collegio ritiene che il blocco dell’attività immobiliare operato dal Consiglio…abbia provocato conseguenza anche successive alla scadenza dei Patti….il Collegio (utilizzando il criterio equitativo)…prendendo per base i valori risultanti dalla CTU (ritiene che) tale voce di danno possa essere liquidata, in via equitativa, in € 70.000,00” (fonte estratto Lodo Arbitrale del 29 gennaio 2014).

Un risarcimento alla parte privata

Dunque, il Comune viene condannato a pagare un risarcimento alla parte privata perché, violando i patti e nominando due membri anziché uno nel Collegio di Amministrazione, quest’ultimo ha adottato tattiche dilatorie (che il Collegio definisce Blocco imposto alla attività immobiliare della società) che hanno provocato un danno alla società valutato, per la sola parte privata, in circa € 78.000,00, più il riconoscimento delle spese valutate € 33.000,00. Ne deriverebbe che il danno alla società conseguenza di questo blocco imposto dal CdA nominato in violazione dei patti sia da riconfigurare tenendo anche conto del 60% in mano al socio pubblico, con un danno sicuramente maggiore di quello alla fine quantificato. 

Il punto, quindi, è capire come mai l’Amministrazione Comunale non abbia mai proceduto a verificare l’eventuale esistenza delle condizioni del danno erariale in ordine al Lodo descritto che ha comportato l’esborso da parte del Comune di Tivoli complessivamente di € 111.368,98 per il risarcimento riconosciuto al socio privato, cioè al 40% del pacchetto societario. Applicando il metodo deduttivo il danno subito dal Comune di Tivoli sarebbe potuto ammontare, in virtù del 60% di azioni in suo possesso, a circa € 122.000,00, più le spese legali che in sentenza non sono ovviamente esplicitate. Si ritiene, sempre applicando lo stesso metodo, che il Comune di Tivoli abbia speso al tempo almeno € 44.000,00 per l’attività di assistenza legale (Si ribadisce che in questo caso trattasi di pura deduzione a partire dalla sentenza di Lodo).

Chi è stato responsabile di una tale situazione che si è ripercossa negativamente sulle casse comunali?

La sentenza esplicitamente afferma che il danno è stato causato dall’attività di blocco opposta alla gestione societaria (attività immobiliare) dal Consiglio di amministrazione così come composto dopo il mancato rinnovo dei Patti Parasociali. In questo caso, poiché il CdA è composto da persone nominate dai soci, si reputa possibile ritenere che tale responsabilità ricada sui membri di quello stesso CdA che, molto probabilmente, hanno seguito nello specifico le indicazioni della parte che li ha nominati.

È, questo, un capitolo particolare della vicenda Terme e si inserisce in un quadro molto più articolato relativamente a possibili o ipotizzabili profili di danno erariale che dovrebbero essere, in ogni caso, verificati e, eventualmente, perseguiti nelle sedi opportune. 

I costi dell’assistenza legale

Senza contare i costi legati all’assistenza legale nel corso di questi 14 anni di ricorsi, appelli, proposte, analisi, valutazioni, lodi, risarcimenti et similia che le casse comunali hanno dovuto spesare in difesa di una posizione che le sentenze hanno progressivamente smontato. A quanto ammontano queste spese? Non poco certamente. Fonti interne a Palazzo San Bernardino sussurrano che tali spese siano ammontate, tutto compreso, a circa un milione di euro. Sarà vero? Invitiamo gli Uffici preposti a smentire questa indiscrezione e a comunicare i dati reali dei costi di assistenza legale e consulenziale connessi con la vicenda termale. In ogni caso quei costi ci sono stati e continuano ad esserci, atteso che il Comune ha presentato appello incidentale all’ultima richiesta avanzata dalla controparte privata finalizzata alla revisione degli importi definiti con la prima sentenza del 2021.

In tutto questo bailamme a rimetterci è solo la comunità tiburtina, proprio perché si preferì rifugiarsi nelle carte bollate invece di trovare le soluzioni più idonee capaci di chiudere questa incresciosa vicenda nell’ambito di un progetto più generale di sviluppo del territorio attraverso le numerose opportunità offerte dalla risorsa termale. Gallotti assunse a suo tempo la decisione, insieme alla sua maggioranza, di non rinnovare i Patti parasociali ritenendoli illegittimi perché viziati dalla mancata attuazione del Piano Industriale e dalla inusuale procedura adottata per il loro rinnovo del 2006 (Come abbiamo visto la Cassazione nel 2023 ha dato torto a questa impostazione), Proietti, e le due maggioranze che lo hanno sostenute, senza alcun distinguo interno e, tanto meno, pubblico, ha continuato a sbagliare inoltrandosi nel medesimo percorso tracciato dal suo predecessore (c’è da dire che Proietti ha sostenuto che la sentenza del 2021 è favorevole al Comune di Tivoli perché ridimensiona le pretese del socio privato che nel Lodo del 2015 si era visto riconoscere un valore del suo 40% pari a circa 15 milioni di euro. Tale giustificazione sembra risibile in quanto, alla fine, ciò che prevale è il risultato della causa legale che, come tutti sanno, fu intentata proprio dal socio privato in assenza di risposte da parte di quello pubblico dopo la sentenza di lodo del 2015.

La difesa del Comune, avviata da Proietti nel suo primo quinquennio, poggiava su alcuni pilastri e tutti vennero smontati dal Tribunale con la sentenza del 2021. L’unico risultato accettabile fu proprio la riduzione del valore delle quote, il resto venne travolto e fece fare alla difesa dell’Ente Locale, e allo stesso Ente Locale, una figura non proprio positiva. C’è da dire, infine, che a gennaio del 2025 si dovrebbe giungere a sentenza proprio sul valore delle quote e sul calcolo degli interessi passivi da riconoscere al socio privato. L’appello incidentale presentato dal Comune travalica tale impostazione e continua a ripetere posizioni che tutte le sentenze, in particolare quella della Cassazione del 2023, hanno negato in punta di fatto e di diritto). Ora toccherebbe a Innocenzi, che nulla c’entra con tutta questa tiritera. Non vorremmo essere al suo posto perché la questione si dipana entro confini talmente labili che il minimo errore di valutazione potrebbe causare uno smottamento rilevante. Intanto, come già detto, gli suggeriamo di fare ricorso presso la Corte dei conti, in sede consultiva, per dirimere in via definitiva la querelle sviluppatasi intorno alla procedura di riconoscimento del debito fuori bilancio. Si può fare in assenza di una sentenza definitiva e, quindi, esecutiva? Per chi scrive non si può fare, altri sostengono si possa fare. Il giudizio della Magistratura contabile potrebbe rappresentare l’unica vera soluzione per chiudere la questione.

A giudizio dell’articolista esistono in tutta questa vicenda margini che potrebbero far pensare a profili di danno erariale, radicati nel 2011, cioè quando si decise di non rinnovare i patti parasociali, e proseguiti nel corso del tempo. Sotto questo punto di vista rileva in special modo il lodo arbitrale del 2015 che impose al Comune di Tivoli il pagamento di € 111.000,00 a risarcimento di un danno patito dal socio privato in seguito al blocco (come specificato in sentenza) attivato dal CdA aziendale, costituito in deroga ai Patti, che ritardarono le attività immobiliari aziendali. Chi scrive, ovviamente, non è un giudice e quindi può esprimere solo valutazioni personali che derivano dalla propria esperienza e dalla competenza acquisita sia nella prassi sia a livello accademico. Un ulteriore suggerimento: comunque vada a finire la vicenda termale farebbe bene l’attuale amministrazione ad avviare una procedura di verifica di questo ipotizzato danno erariale chiedendo sempre alla Corte dei Conti una valutazione dei fatti e gli eventuali riscontri di danno che si potessero o dovessero palesare nel corso della specifica istruttoria.

Infine, non sarà il caso di cominciare a confrontarsi in termini strategici e di sviluppo, nell’ambito di un coeso e chiaro piano di valorizzazione territoriale di carattere complessivo, sul futuro delle Terme? Chi scrive ha avanzato delle proposte chiare. Potrebbero non essere ritenute esaustive e idonee, per questo esiste l’opzione del confronto, nelle Istituzioni e nella Società civile. Adesso servono le idee per il bene della Città, il tempo delle strumentalizzazioni è finito. Forse questa vicenda alla fine si potrebbe trasformare in un’opportunità. Per farlo serve una Classe Dirigente, non i soliti piluccatori delle convenienze spicciole legate a una concezione strapaesana della politica. 

Antonio Picarazzi