Tivoli: un nuovo scavo svela i segreti della Tomba di Cossinia

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Nel 1929 un’improvvisa frana sulla sponda de-stra dell’Aniene, lungo l’odierno viale Mazzini a Tivoli, mise in luce la “Tomba della vestale Cossinia”, oggi situata all’interno dell’omonimo parco. Il ritrovamento divenne subito famoso, al punto che Maria Bellonci pubblico su “Il Popolo di Roma” un commovente racconto dedicato all’anziana sacerdotessa sepolta insieme al suo prediletto giocattolo: si trattava infatti, ed è ancora, l’unica tomba di ve-stale conosciuta in tutto l’Impero Romano. Poiché il monumento mostrava segni di dissesto a causa delle esondazioni dell’Aniene, la Soprintendenza alle Antichità di Roma intervenne tempestivamente e l’archeologo Giacchino Mancini procedette allo scavo e alla messa in sicurezza.

Composizione della tomba

La “Tomba” è costituita di due basamenti a gradini di travertino, sul più alto dei quali si innalza un’ara marmorea che reca entro una corona di quercia il nome della virgo vestalis Cossinia e, al di sotto, il nome del dedicante L. Cossinius Electus. Nel retro dell’ara è una terza iscrizione in metrica (due esametri), che, tradotta in Italiano, suona: “Qui sepolta riposa la vergine, per mano del popolo trasportata, poiché per sessanta- sei anni fu devota a Vesta”. Cossinia, quindi, poiché le fanciulle diventavano sacerdotesse di Vesta fra i sei e i dieci anni, morì ultra- settantenne.

Il Mancini si mise subito alla ricerca della sepoltura e, dovendo realizzare anche una nuova fondazione per arrestare il dissesto, smontò parte del basamento e vi scavò all’interno, ma non trovò nulla. Rimosse quindi anche i blocchi superiori del basamento più piccolo, sco- prendo una dura muratura che tagliò e finalmente apparve la sepoltura, coperta da lastroni in travertino. Sotto era una fossa rivestita di lastre in marmo bianco che conteneva uno scheletro di cui l’archeologo notò i denti “quasi intatti e bianchissimi”. A lato dello scheletro rinvenne una graziosa bambolina (pupa) snodabile in avorio, ornata con collanina e braccialetti d’oro, e minuti frammenti di un prezioso cofanetto in ambra ricomposto in se- guito (entrambi i reperti sono al Museo Nazionale Romano). Il Mancini, nonostante la perfetta dentatura, si convinse che quella fosse la tomba dell’anziana vestale, la quale avrebbe portato con sé, nell’ultima dimora, l’amato giocattolo della fanciullezza. E fu proprio la pettinatura della bambolina, simile a quella dei ritratti di Giulia Domna (170-217 d.C.), moglie dell’imperatore Settimio Severo, a indurlo a datare la sepoltura alla fine del II sec. d.C. Per spiegare i due basamenti e l’assenza della sepoltura sotto quello più grande, pensò che in una prima fase fosse stato eretto in onore della vestale solo un cenotafio (tomba con l’ara recante il nome, ma senza il corpo) e che i resti mortali tali fossero stati traslati e sepolti nella fossa solo in un secondo momento (ini- zi III sec. d.C.), quando sull’ara si aggiunsero il nome del dedicante e l’iscrizione in metrica. Invece, come hanno rilevato altri studiosi, le tre iscrizioni dell’ara sono coeve e databili alla prima metà del I secolo, quindi la ricostruzione di Mancini va esclusa.

L’eta dello scheletro

Restava però il dubbio, non del tutto fugato, sull’età dello scheletro e, soprattutto, su dove la vesta le fosse stata sepolta, dato che la fossa è indubbiamente datata dalla bambolina alla fine del II secolo. Il giallo si è, almeno in parte, risolto con il recente intervento di restauro della Soprintendenza (2021- 2023, su progetto dell’Arch. Giuseppe Borzillo), poiché il monumento, a causa del sottosuolo cedevole, si era pericolosamente inclinato verso il fiume e i blocchi dei gradini si erano sconnessi. È stato quindi necessario smonta- re interamente i due basamenti che sono stati poi riposizionati su una fondazione in cemento. Oltre a restituire stabilità al monumento, rinviando a un prossimo cantiere la sistemazione esterna, si è conseguito un importante risultato scientifico, poiché la sepoltura è stata riaperta. Lo scheletro, esaminato presso il Laboratorio del Dipartimento di Biologia dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, si è rivelato essere effettivamente di una giovane donna morta all’età di circa 20 anni. La bambolina, quindi, ne denotava, quale simbolo di purezza e castità, lo status prenuziale e il cofanetto doveva essere destinato a contenere i piccoli oggetti (che però già nel 1929 non furono trovati) per il trucco della bambolina. E la vestale Cossinia? Questa fu molto probabilmente cremata (così era uso nel I secolo) sul luogo stesso, come ha rivelato chiaramente uno spesso strato di carboni e frammenti ossei messo in luce dallo scavo, residuo della pira su cui fu arso il corpo, tagliata in seguito dall’impianto della fossa.

L’urna marmorea

Le ceneri dovettero essere raccolte in un’urna marmorea, che fu riposta all’interno del grande basamento (forse già sondato prima dell’intervento di Mancini) o in un luogo vi- cino, da cui nei secoli è stata trafugata o portata via dagli straripamenti dell’Aniene.Un’ultima considerazione si impone a proposito della fanciulla morta ventenne: poiché inumata sotto un basamento volutamente sovrapposto a quello più grande, è da riferire di certo a una congiunta della vestale. Al di sopra era una statua-ritratto o un’ara che la ricordava, di cui Mancini poté ancora vedere l’impronta della base, oggi scomparsa.

Zaccaria Mari – Direttore scientifico dello scavo