Visto da me/ Barry Seal – Una storia americana (American Made)

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Diretto da Doug Liman, il film racconta di un ex pilota della TWA che negli anni 80 diventa informatore per la CIA e per la DEA e nientemeno che contrabbandiere di armi e poi di droga per il cartello colombiano di Pablo Escobar. La cosa sbalorditiva è che, seppur romanzata, si tratta di una storia vera.

Tom Cruise da grande performer sfodera il suo migliore e irriverente sorriso per interpretare questo avido criminale. Una versione moralmente discutibile del Maverick di Top Gun, persino con gli stessi occhiali da sole, e realizzata senza controfigure, spericolata e avvolgente. Celebrazione biopic in piena regola, in cui ad essere mitizzato è quindi un protagonista che andrebbe in realtà condannato. E la cosa piace parecchio alla ultima Hollywood, basti pensare a Pain and Gain o all’incredibile The Wolf Of Wall Street.

Tom Cruise e Doug Liman, che avevano già collaborato, sono in stato di grazia in questa eccitata esaltazione dell’arrivismo sociale e del capitalismo sfrenato, in una vertigine di decostruzionismo del sogno americano. Spettacolare e irriverente, Barry ci racconta l’edonismo reaganiano, cresciuto con la dieta dei campioni di Bret Easton Ellis, fatta di strisce di coca.

La sceneggiatura di Spinelli, il contributo di Domhnall Gleeson ai costumi vintage che passano dai mercatini al set, la divisione tra gli anni 70 e gli 80 lasciata ai movimenti di camera (prima a mano e poi con inquadrature più rigide) è tutto ingegnoso, acuto, pop, indiscutibile. Perfetto persino nei titoli di testa e di coda. (R.M.)