Di Antonella Tancredi
Siamo cresciuti così, con questa idea che il lavoro ci identificasse, che investire nell’istruzione avesse un senso e che lavorare diligentemente portasse frutti, portasse benessere e ci rendesse persone autonome. Bene questo è il nostro modello, ma come è noto il mercato del lavoro si è trasformato. Peccato però che le trasformazioni sociali siano più lente dell’applicazione di una legge o di una lettera di licenziamento. In passato il contratto a tempo indeterminato rappresentava una cornice di sicurezza per il lavoratore, che così progettava il proprio futuro. La diffusione del “lavoro temporaneo”, flessibile e quindi precario, ha invece introdotto una prospettiva di incertezza e di instabilità, che sempre più spesso raggiunge il culmine nella perdita del proprio impiego, con ripercussioni psicologiche. Tale disagio si manifesta in alcune sfere e non solo.
Il dolore
Il lavoro è un elemento fondamentale che costituisce la nostra identità; ne consegue che la perdita dell’impiego si riflette negativamente sull’immagine di sé. Una caduta dell’autostima seguita da una pluralità di stati d’animo è altrettanto sconvolgente. Preoccupazioni per il “bilancio familiare” e per il cambiamento delle condizioni di vita di noi stessi e di tutta la famiglia, il senso di colpa verso i propri cari e tutto ciò che ne consegue. Un grande senso di impotenza ci attraversa e nulla possiamo pur essendo vittime di un sistema che decide indipendentemente dalle qualità professionali. Nulla è prevedibile come in questi casi, poiché le leggi del mercato del lavoro non sono controllabili; Il risultato? Un senso di rabbia profondo e sfiducia verso tutto e tutti.
La disperazione
Questo stato d’animo si inserisce con lentezza nella vita di chi ha perso il lavoro. Un rifiuto della nuova realtà ci fa compagnia tutti i giorni e si pensa che in un modo o nell’altro si troverà un nuovo impiego. Col passare del tempo, nonostante i numerosi tentativi, non si presenta nessuna opportunità, allora sopraggiunge un periodo di catastrofismo. Dopo un lungo periodo, quando la disoccupazione diventa “persistente”, fanno capolino la rassegnazione e il ripiegamento su se stessi, spalanca la porta la depressione. L’apatia e l’isolamento saranno le amiche di merenda che puntualmente ci porteranno via la possibilità d’inserirsi nuovamente in un’attività professionale.
Il progresso
Il cambiamento è possibile? Uno stile di vita attivo sia nella ricerca di un nuovo impiego, sia nei piccoli gesti quotidiani è il seme del progresso. Occorrerà contrastare la temporanea sensazione di inutilità, di vuoto e di smarrimento e questo sarà possibile solo continuando a impegnare il proprio tempo in cose che ci fanno stare bene. Tutti i dispiaceri che accompagnano la perdita del lavoro, dal fallimento personale al panico del futuro, devono trovare uno spazio di accoglienza e di rielaborazione. Ricorrere all’aiuto di uno specialista può servire per conoscere meglio se stessi e magari avviare un percorso di cambiamento e perché no un nuovo approccio al mondo del lavoro.
Antonella Tancredi è una psicologa del lavoro che da anni opera nel sociale. Per maggiori informazioni tancredi.antonella@hotmail.it
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