Cambia/Menti: Gli stragisti. É follia?
Nel cuore dell’Europa, nell’arco di un paio di mesi, diversi adolescenti e un uomo di 31 anni hanno posto fine alla loro vita in modo grandioso ed esibizionistico simbolizzando e attivando panico nella collettività. In questi casi sembra sia solo frutto di ipotesi la deriva islamica. Non è chiara e non è dimostrata. É certo […]
Nel cuore dell’Europa, nell’arco di un paio di mesi, diversi adolescenti e un uomo di 31 anni hanno posto fine alla loro vita in modo grandioso ed esibizionistico simbolizzando e attivando panico nella collettività. In questi casi sembra sia solo frutto di ipotesi la deriva islamica. Non è chiara e non è dimostrata. É certo invece che gli stragisti siano tutti soggetti con note ed evidenti problematiche psichiatriche. Sulla fragilità di questi ragazzi indubbiamente il processo imitativo ha fatto da padrone. Dove ci sono fragili identità è stata possibile una rapida radicalizzazione frutto più del bisogno di dare un senso alla propria esistenza sentita inconsistenza piuttosto che il risultato di un credo profondo. Inoltre la patologia psichiatrica si incista facilmente nell’incontro tra culture, tra diverse etnie. Il risultato è un vissuto fortemente traumatico e la produzione di uno shock. Essere abituati sin dalla nascita nella propria casa a specifiche regole scritte e non, ad un modo di vivere dettato dalla propria cultura, poi uscire e confrontarsi con un mondo che propone invece modelli culturali non solo diversi ma spesso opposti produce un cortocircuito se le capacità adattive sono state deboli. I protagonisti delle stragi sono infatti tutti figli di un processo di integrazione fallimentare con vissuti di esclusione e atti di bullismo. Per noi occidentali chiudere il pensiero in modo semplicistico con: “era un ragazzo con problemi psichiatrici”, “soffriva di depressione. Era in cura” paradossalmente tranquillizza i più, ma la realtà, come sempre, é ben più complessa. Le variabili in gioco come scritto sopra sono molteplici ed una di esse ci vede protagonisti perché quel processo di integrazione che non ha funzionato, che piuttosto ha posto ai margini considerando lo “straniero” un “estraneo”, uno “sconosciuto”, “qualcuno da temere ed evitare” é frutto della nostra società e dovrebbe essere motivo di profonde riflessioni soggettive e della collettività.
Dr.ssa Barbara Vecchioni
Www.studiodipsicologiativoli.it

