Visto da me/ Silence

Di Roberta Mochi C’è chi ha definito questo film come un esercizio di ascetismo cinematografico, perché Silence – dell’ex seminarista Scorzese – non ha il passo di The Wolf of Wall Street ma è un lungometraggio dilatato e contemplativo, impegnativo e claustrofobico nel suo raccontarci le ambiguità della fede vissute in Giappone da alcuni padri […]

Visto da me/ Silence

Di Roberta Mochi

C’è chi ha definito questo film come un esercizio di ascetismo cinematografico, perché Silence – dell’ex seminarista Scorzese – non ha il passo di The Wolf of Wall Street ma è un lungometraggio dilatato e contemplativo, impegnativo e claustrofobico nel suo raccontarci le ambiguità della fede vissute in Giappone da alcuni padri gesuiti portoghesi. Il lungometraggio (termine più che appropriato) parte come una detection. È il 1633, i Padri Rodriguez e Garupe, informati della scomparsa in Giappone del loro maestro spirituale, Padre Ferreira, ottengono il permesso di andare a cercarlo, in una terra dove una violentissima persecuzione sta reprimendo il cattolicesimo. Tratto dal romanzo del 1966 di Shusaku Endo, considerato un capolavoro della letteratura nipponica, il film è stato sceneggiato, oltre che dal regista, anche da Jay Coocks, così come era accaduto ne’ L’età dell’innocenza, e con lo stesso rigore ci mostra un sistema di regole sociali compatte e mortificanti, descrivendo la dolorosa tragedia e la solitudine di un uomo arrogante, interpretato da Andrew Garfield (che sempre quest’anno vediamo come salvatore di uomini in La battaglia di Hacksaw Ridge), un uomo che tenta di servire Dio identificandosi nelle sofferenze del Figlio del Salvatore, senza rendersi conto che si tratta più di una forma di egoismo, che non di limpida devozione. Il silenzio del titolo si riferisce a molteplici aspetti, al Dio assente che non risponde alle grida di dolore, alla condizione dei kirishitan nascosti e perseguitati, ai gesuiti spinti all’apostasia, al mutismo di padre Ferreira e a quello di padre Rodriguez che gli permette però di tornare a sentire la voce del suo Deus. La pellicola girata in modo magistrale, grazie anche all’abilità dello scenografo Dante Ferretti e alla potente fotografia di Rodrigo Prieto – così attenta a tutti gli umori della natura – ha il merito di trattare in modo intenso e con una grande purezza il dramma del cammino della fede che ci invita a pregare ma “con gli occhi aperti” e con l’umiltà e il rispetto che si deve all’identità culturale di tutti, perché la violenza negli scontri tra credenze risiede da entrambe le parti.