Il concessionario, alla guida dal 2002 della rete viaria dopo aver rilevato le due arterie di montagna dalla gestione pubblica dell’Anas attraverso un bando comunitario, accusa il governo di aver impedito “una efficace operatività in una condizione di equilibrio economico-finanziario”. Il governo contesta lavori, sicurezza e manutenzione ordinaria e mancati pagamenti, oltre al fatto che la concessionaria sia finita sotto inchiesta nelle procure abruzzesi per lo stato della infrastruttura.
Tutti rilievi rispediti al mittente dal concessionario che ha ottenuto nel frattempo sentenze favorevoli, tra cui il blocco del pignoramento intentato da Anas sancito dal tribunale di roma che ha riconosciuto il principio della compensazione sottolineando che lo stato deve al privato una somma maggiore dei circa 500 milioni di euro rivendicati. Ma in questa complessa vicenda che coinvolge anche l’acquifero del gran sasso (A Teramo è in corso un processo per presunto inquinamento nel tunnel), tutto ruota intorno al piano economico finanziario, fermo dal 2013, nonostante una quindicina di versioni e due commissari, uno nominato dal governo, l’altro dal consiglio di stato che ha considerato inadempiente l’allora ministero per le infrastrutture e trasporti esautorandolo dalla approvazione.
Nel Pef, oltre ai costi dei pedaggi, emerge l’altra grande questione: il mega piano di messa in sicurezza sismica di circa 6,2 miliardi di euro per rispettare i dettami della legge di stabilità del 2012, dopo il terremoto dell’Aquila, che considera le due arterie strategiche in caso di calamità naturali.