Nuova luce sul culto di Ercole nell’antica Tibur
È noto che il principale luogo di culto di Ercole a Tibur era il monumentale santuario extramuraneo di Hercules Victor, costruito nel II-I sec. a.C. a cavallo della via Tiburtina, poco a valle della città. Ma il dio, che aveva grande presa sul popolo, in quanto nella sua vicenda terrena era stato un eroe di […]
È noto che il principale luogo di culto di Ercole a Tibur era il monumentale santuario extramuraneo di Hercules Victor, costruito nel II-I sec. a.C. a cavallo della via Tiburtina, poco a valle della città. Ma il dio, che aveva grande presa sul popolo, in quanto nella sua vicenda terrena era stato un eroe di forza sovrumana (sono rimaste proverbiali le sue dodici fatiche), era venerato anche all’interno dell’abitato, ove con l’avvento del Cristianesimo fu sostituito dal martire Lorenzo. Dalle iscrizioni rinvenute nei secoli scorsi, purtroppo senza la precisa registrazione del luogo di provenienza, ricaviamo che nel Foro (oggi piazza del Duomo) o nei pressi Ercole era venerato anche come Saxanus (iscrizione della fine del I secolo che cita un tempio con un’alcova e una cucina), Invictus, Victor e Victor Certenciinus. Mentre quest’ultimo epiteto, inciso su una base marmorea sostenente la statua, dedicata nel 224 d.C., rinvenuta presso la chiesa di S. Andrea, è di difficile interpretazione (forse un toponimo), Saxanus è quasi sicuramente da riferire all’Ercole protettore dei cavatori e dell’attività estrattiva dei blocchi di travertino (saxa quadrata) nella cava del Barco; meno probabile è l’ipotesi che vuole il dio protettore delle rupi naturali, quindi con riferimento allo sperone roccioso (saxum) dell’acropoli (il Castrovere). L’incertezza relativa alla localizzazione dei vari templi o sacelli è destinata a rimanere tale, a meno di un’improvvisa entusiasmante scoperta, intanto, però, l’archeologia ci ha rivelato uno dei luoghi di culto erculei in precedenza del tutto sconosciuto.
Le indagini all’ex-cartiera Amicucci
Durante le indagini di archeologia preventiva per la realizzazione dell’Auditorium di Tivoli, infatti, nell’area dell’ex cartiera Amicucci Parmegiani, in via del Riserraglio, in pieno centro storico – indagini dirette da chi scrive e seguite sul campo dal dott. Andrea Ricchioni – sono tornati in luce alla fine del 2022 i resti di una grande struttura muraria associati a copioso materiale ceramico. Un rinvenimento del tutto inaspettato, perché nel locale banco sabbioso-calcareo erano state scavate nel 1952, quando si ampliò la cartiera, solo tombe in sarcofagi di tufo datate al V-IV sec. a.C. I resti consistono in un possente muro in blocchi squadrati di travertino poroso, scoperto per una lunghezza di circa 30 metri, databile, per confronto con altre simili strutture, al IV-III sec. a.C., ma con aggiunte in opera reticolata del I d.C. Potrebbe essere attribuito alla cinta urbana, che era effettivamente in blocchi di travertino con restauri in tufo e che correva proprio nel sito del rinvenimento, ove fu ripercorsa dalle difese attivate all’epoca della guerra greco-gotica (VI sec. d.C.), alle quali appartiene la base della torre-campanile di S. Caterina. Potrebbe trattarsi, però, anche di un terrazzamento che originava, al pari delle mura, una spianata artificiale protesa verso il pendio a precipizio sull’Aniene. In entrambi i casi questa platea sosteneva molto probabilmente un tempio, come dimostra la sacca di terra situata a immediato contatto con il muro, ricchissima di frammenti vascolari costituiti in gran parte di coppe emisferiche, anche miniaturizzate, della classe ceramica “a vernice nera”, risalenti al III-II sec. a.C., con impresse sul fondo le lettere H e HP, iniziali di Hercules in latino e/o Herakles in greco; altre recano stampigli a forma di palmette o rosette.
Le fabbriche di ceramica
Le coppe, prodotte nelle fabbriche di ceramisti che operavano presso l’odierna Rocca Pia ove esisteva anche una fiorente produzione di ceramica a rilievo e decorata con paste vitree, trovano confronti in vari contesti cultuali di età medio- e tardo-repubblicana a Roma e nel Latium vetus. Sono pertanto da riferire alla stipe votiva di un tempio o santuario dedicato senza alcun dubbio ad Ercole. Era uso che gli oggetti, spesso umili e di basso costo, donati dai fedeli alla divinità, venissero, di quando in quando, raccolti e deposti in fosse aperte nel terreno (favissae).
Nella sottostante loc. Acquoria, ad esempio, venne scoperta nel 1926 una ricca stipe contenente anche statuette fittili, ornamenti, figurine in bronzo e monete, che invece nello scavo della cartiera sono del tutto assenti, e ciò forse a causa di una selezione operata in occasione di un primo rinvenimento. Siamo solo all’inizio della conoscenza di un altro degli innumerevoli tesori archeologici conservati sotto la stratificazione della città medioevale e moderna. È chiaro che solo la prosecuzione degli scavi potrebbe condurre all’individuazione dell’edificio sacro e a precisare, magari con il fortunato rinvenimento di una dedica, l’identità dell’Ercole ivi venerato.
Zaccaria Mari Funzionario archeologo Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio

