Caso Orlandi, nuove ombre su Santa Marinella | La telefonata “Quindici” e lo zio Meneguzzi: verbali mancanti e un indirizzo che riappare
Emanuela Orlandi (Web) - NotiziaLocale
Nella registrazione del 5 luglio 1983 si sente «Santa Marinella… quindici». Spunta un documento “riservatissimo” dei Servizi con pagine mancanti e riemerge l’indirizzo di via Ecletina 15, legato allo zio di Emanuela.
Due settimane dopo la scomparsa di Emanuela Orlandi, il telefono di casa squilla. È il 5 luglio 1983. Risponde lo zio, Mario Meneguzzi. Dall’altro capo, una voce femminile piatta, quasi senza emozioni. Dice poche parole: «In un paesino sperduto per Santa Marinella… quindici». Anni dopo, ascoltando quel frammento riproposto in tv, il fratello Pietro dirà di aver riconosciuto la voce di Emanuela. “Santa Marinella” e “quindici” diventano subito indizi. Proprio lì, a Santa Marinella, Meneguzzi aveva una casa estiva: via Ecletina 15. Sulla targa del palazzo compaiono ancora i cognomi “Meneguzzi–Orlandi”.
Intorno a queste parole ruota un nuovo filone. Una trasmissione televisiva sostiene di avere un documento inedito, bollato “Riservatissimo”, con cui i Servizi segreti avrebbero pedinato lo zio fino al litorale. Ma nel fascicolo mancano quattro pagine. Perché? Cosa c’era scritto? E perché le pagine non risultano più oggi, a indagine riaperta? Secondo quanto riferito, la Procura di Roma avrebbe il documento da due anni e conoscerebbe i buchi del testo. A complicare tutto si aggiunge una nota dell’epoca dei carabinieri: l’indirizzo della casa dello zio, dicono, non avrebbe numero civico. Eppure una residente mostra oggi una targa con il “15”, rotta di recente ma sempre esistita. Un dettaglio che stride con la carta ufficiale.
La telefonata “Quindici”, la pista del litorale e i pedinamenti degli 007
La sequenza degli elementi restituisce un quadro pieno di nodi. La frase «Santa Marinella… quindici» lega la telefonata a un luogo preciso, via Ecletina 15, lo stabile dello zio. Meneguzzi, uomo di famiglia molto presente in quei giorni, si accorge di essere seguito da due persone in auto. Chiede conferma al fidanzato di sua figlia, Giulio Gangi, giovane poliziotto appena entrato nel Sisde. E, secondo il racconto, la conferma arriva: era davvero sotto osservazione. È in questo contesto che il documento dei Servizi, con quattro pagine mancanti, assume peso. Se quelle pagine descrivessero spostamenti, incontri o appostamenti vicino alla casa di via Ecletina, potrebbero aggiungere tasselli cruciali.
Col tempo emergono anche incongruenze nei ricordi dello stesso Meneguzzi. Quando gli fu chiesto dell’indirizzo emerso dalla telefonata, avrebbe cambiato le carte in tavola: «Disse “15, via… Santa Marinella”», riferì. Ma il suo indirizzo era via Ecletina 15. Un lapsus, una prudenza di troppo o la volontà di spostare l’attenzione? Nello stesso verbale lo zio descrive la voce della nipote come «forse drogata», «impastata». Un giudizio che, se vero, caricherebbe di gravità il contenuto di quella chiamata; se falso, alimenterebbe l’idea di un depistaggio.
Visualizza questo post su Instagram
Il ruolo dello zio, i verbali che non combaciano e le domande ancora aperte
Dal 23 giugno al 22 luglio 1983 lo zio Meneguzzi risponde al telefono di casa Orlandi, assumendo nei fatti il ruolo di mediatore unico con i presunti rapitori. Nella telefonata del 5 luglio, racconta, un uomo dall’accento straniero – il cosiddetto “Americano” – gli avrebbe fatto ascoltare la voce di Emanuela. Parallelamente, però, i carabinieri iniziano a seguire Meneguzzi per un altro motivo: confidenze su sue presunte “attenzioni” inopportune, poi ridimensionate anni dopo da Natalina Orlandi come avances verbali del 1978, presto interrotte. Tasselli difficili da mettere insieme senza cadere in scorciatoie.
Restano interrogativi pesanti. L’alibi dello zio per il 22 giugno 1983, giorno della scomparsa: lui disse di trovarsi a Torano, nel Reatino. A increspare il quadro ci sarebbe anche una somiglianza con l’identikit dell’uomo visto parlare con Emanuela quel pomeriggio, segnalato da un vigile. Coincidenza? Suggestione a posteriori? O un dettaglio trascurato? Senza le quattro pagine mancanti del rapporto dei Servizi è difficile dirlo. Ma l’incrocio tra telefonata, indirizzo preciso, pedinamenti e cambi di versione obbliga a ripercorrere la pista litoranea con occhi nuovi.
Un altro punto è l’anomalia dell’indirizzo. Perché un’informativa dell’epoca nota l’assenza del numero civico, se una targa “15” è sempre stata lì? Una svista banale può capitare, ma qui il “quindici” è il perno della chiamata. Se l’errore fosse nella carta, distoglierebbe l’attenzione dal collegamento più diretto tra voce e luogo. Se fosse nella ricostruzione successiva, resterebbe il sospetto di un cortocircuito tra memoria, mediaticità e carte processuali.
Oggi l’indagine italiana è stata riaperta anche alla luce di atti trasmessi dallo Stato vaticano ai pm di Roma. In questo quadro, Santa Marinella non è più solo uno sfondo estivo della famiglia, ma una possibile scena. Ci sono elementi concreti – il civico 15, gli appostamenti riferiti, la chiamata – e ci sono lacune da colmare: quattro pagine, un alibi da pesare, una somiglianza da verificare con metodo. Le domande restano: perché quelle pagine mancano? Cosa documentavano davvero gli 007 su Meneguzzi? La frase «Santa Marinella… quindici» puntava a un messaggio da decifrare o a un indirizzo da trovare? Finché questi buchi non saranno riempiti con riscontri, il caso continuerà a oscillare tra ricordi, sospetti e coincidenze. E ogni dettaglio – anche una targa trovata a terra, rotta – potrà ancora spostare l’ago della bilancia tra la pista buona e l’ennesimo depistaggio.
