Paste Italiane, è lei il marchio migliore in assoluto: la barilla surclassata completamente | Non la compra quasi nessuno

Spaghetti - Notizialocale

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Una classifica dedicata ai migliori marchi di pasta italiana per i supermercati all’estero incorona un nome insospettabile come “migliore in assoluto”, mentre Barilla scivola nelle posizioni di coda e il marchio sul gradino più alto del podio resta poco conosciuto da tante famiglie italiane.

Nel report pubblicato da un operatore specializzato nell’export di prodotti italiani emerge una fotografia che ribalta molte certezze: quando si parla di migliore pasta italiana, il primo posto non va ai brand più famosi sugli scaffali della grande distribuzione, ma a un marchio selezionato in base a parametri tecnici precisi, come contenuto proteico, qualità delle semole e metodo di lavorazione. È una classifica pensata per chi deve scegliere gli assortimenti per i supermercati all’estero, ma che dice molto anche sulle abitudini di acquisto in Italia.

Mentre Barilla, simbolo del made in Italy nel mondo, compare soltanto in nona posizione, al vertice viene indicata la pasta Rummo, affiancata da altri nomi di fascia alta come La Molisana e Voiello. Un risultato che a molti consumatori italiani suona sorprendente, perché il marchio considerato “migliore in assoluto” non rientra tra le scelte più frequenti nelle spese di tutti i giorni. Il paradosso è proprio questo: l’etichetta che guida la classifica è premiata da chi lavora con l’export, ma continua a essere una presenza meno massiva nei carrelli di tante famiglie.

La classifica che incorona Rummo e relega Barilla in fondo

Secondo l’analisi, la graduatoria delle migliori paste italiane per il mercato estero si basa su più elementi: qualità della materia prima, tenuta di cottura, contenuto di proteine, trafilatura al bronzo, tipo di essiccazione, ma anche cura del packaging e ampiezza della gamma. In questo quadro la pasta Rummo, prodotta a Benevento, viene indicata come migliore pasta italiana complessiva, grazie al contenuto proteico elevato, alla lenta essiccazione a basse temperature e alla lavorazione tradizionale che garantisce una consistenza corposa e una lunga tenuta in pentola.

Alle sue spalle si collocano La Molisana e Voiello, marchi che puntano su grano duro 100% italiano, filiere controllate e formati particolari pensati anche per un pubblico gourmet. Solo più giù, nella parte bassa della classifica, compaiono brand storici come Barilla, De Cecco e Divella, che restano protagonisti in termini di notorietà ma vengono superati quando il criterio diventa esclusivamente la combinazione tra qualità percepita, caratteristiche tecniche e appeal sugli scaffali dei supermercati internazionali. Non si tratta di un giudizio assoluto su “buono” o “cattivo”, ma di una fotografia precisa di quello che premia di più all’estero in questo momento.

Carbonara - Notizialocale
Carbonara – Notizialocale

Perché la migliore pasta non è quella che compriamo di più

La parte più curiosa di questa storia riguarda il rapporto tra classifica e abitudini di acquisto. Molti consumatori italiani riempiono il carrello con i marchi più noti, forti di una presenza capillare e di campagne pubblicitarie decennali, mentre la pasta indicata come numero uno viene scelta più spesso da chi cerca prodotti di alto profilo o da chi acquista per la ristorazione e per i punti vendita specializzati. In altre parole, il marchio che surclassa Barilla nelle valutazioni tecniche non è ancora un “prodotto di massa”, ma un riferimento per chi guarda con più attenzione a etichette e processi produttivi.

L’analisi mette in evidenza un divario interessante: da un lato c’è la pasta “popolare”, acquistata quasi automaticamente per abitudine o per convenienza; dall’altro c’è la pasta che viene considerata “migliore in assoluto” perché offre un indice proteico più alto, una trafilatura al bronzo costante, una lenta essiccazione e un lavoro mirato sul gusto e sulla tenuta in cottura. Il fatto che questa eccellenza non sia ancora al centro delle scelte della maggioranza dei consumatori spiega quel passaggio del titolo – “non la compra quasi nessuno” – che non va letto come una bocciatura, ma come la prova di quanto la qualità reale, a volte, viaggi più veloce della notorietà.