Smart working, infortunio durante un permesso: INAIL deve pagare | Ecco quando vieni risarcito totalmente
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Una nuova sentenza estende la tutela anche fuori casa, ribaltando la posizione dell’INAIL
Con il lavoro da casa che si intreccia sempre più con la vita quotidiana, anche la linea che separa ciò che è “lavorativo” da ciò che non lo è diventa inevitabilmente più sottile. E così, quando si verifica un incidente mentre ci si allontana per un permesso o una necessità familiare, molti lavoratori si ritrovano davanti alla stessa domanda: chi tutela questi infortuni?
Un interrogativo diventato centrale dopo che una recente sentenza del Tribunale di Milano ha allargato sensibilmente la protezione prevista dall’INAIL, stabilendo che anche un infortunio avvenuto fuori casa durante un permesso concesso in smart working debba essere considerato coperto.
Una decisione che segna un punto di svolta, perché chiarisce finalmente un’area grigia che l’INAIL, fino ad oggi, aveva spesso interpretato in senso restrittivo. E che riguarda una platea enorme di lavoratrici e lavoratori che, anche se fisicamente lontani dagli uffici, restano comunque legati a un rapporto di lavoro e ai diritti che esso garantisce.
Perché il tribunale ha dato ragione alla lavoratrice: il caso che ha fatto scuola
La vicenda esaminata dai giudici milanesi parte da una situazione comune a tantissimi genitori che lavorano da casa. Una lavoratrice in smart working chiede un permesso durante l’orario di lavoro per andare a prendere la figlia a scuola, a circa un chilometro e mezzo dalla propria abitazione. Durante il tragitto cade e si procura una distorsione e alcune escoriazioni.
L’INAIL però respinge la richiesta di tutela sostenendo che, essendo in permesso, non esistesse più alcun legame con l’attività lavorativa.
Il giudice ha ribaltato completamente questa ricostruzione. Nella motivazione si legge che un permesso non interrompe il nesso con il lavoro, perché rientra nelle sospensioni legittime dell’attività, al pari della pausa pranzo o di un periodo di riposo. Sono tutti momenti riconosciuti come parte fisiologica del rapporto lavorativo e, dunque, protetti.
Il tribunale ha anche richiamato una precedente posizione della Cassazione, secondo cui il lavoratore è tutelato tutte le volte in cui lascia il luogo in cui presta attività — che si tratti di un ufficio o della propria casa — per una ragione connessa a un proprio diritto previsto dalla legge o dai contratti.
Un concetto che si intreccia con quello di infortunio in itinere, ovvero l’incidente che avviene lungo il “tragitto necessario” legato al lavoro. E accompagnare o andare a prendere un figlio a scuola rientra proprio tra le deviazioni considerate necessitate, come precisato dallo stesso INAIL in precedenti circolari.

Cosa significa davvero questa sentenza per chi lavora da casa
Con questa decisione, il Tribunale di Milano ha stabilito un principio destinato ad avere grande impatto: il lavoratore in smart working non è meno tutelato di chi si reca fisicamente in ufficio.
Se durante un permesso legittimamente richiesto si verifica un incidente lungo un tragitto collegato a un’esigenza familiare o personale riconosciuta, la copertura deve scattare.
Non si tratta solo di un riconoscimento giuridico, ma di un adeguamento necessario alla realtà attuale, dove casa e lavoro convivono quotidianamente. Escludere questi casi dalla tutela avrebbe creato un vuoto pericoloso, discriminando chi lavora da remoto e lasciandolo privo di protezione proprio nei momenti in cui esercita diritti fondamentali, come prendersi cura dei propri figli.
La sentenza, quindi, non apre a un uso distorto del sistema — i permessi restano regolati e severamente sanzionati in caso di abuso — ma rafforza un principio essenziale: lavorare da casa non significa rinunciare ai diritti legati al proprio lavoro.
Un messaggio chiaro che ridisegna i confini della tutela e pone al centro, finalmente, la reale quotidianità di chi vive lo smart working.
