Assumere un genitore pensionato, può costarti molto caro | Le regole che l’Inps controlla davvero: puoi perdere tutto

Assumere un genitore pensionato, può costarti molto caro | Le regole che l’Inps controlla davvero: puoi perdere tutto

assunzioni_pensionati_-_notizialocale.it

Il lavoro in famiglia è diffuso, ma quando entra in azienda servono prove solide e un rapporto vero

Nel mondo delle piccole imprese italiane, dove ogni attività si regge spesso sul contributo dei propri cari, capita che anche un genitore in pensione continui a dare una mano in azienda. È una scena comune, quasi naturale, che però assume tutt’altra rilevanza quando il supporto diventa continuativo e nasce l’esigenza di regolarizzarlo. Molti imprenditori si chiedono se sia possibile assumere un familiare pensionato senza correre rischi, e la risposta è positiva, purché il rapporto di lavoro sia reale, documentabile e non riconducibile a una collaborazione affettiva o occasionale. Questa distinzione rappresenta il punto da cui partire per evitare problemi con l’Inps e tutelare sia l’impresa che il lavoratore.

Le regole sono più chiare di quanto sembri: lo stato di pensionato non impedisce l’assunzione e non influisce sull’importo della pensione, pienamente cumulabile con redditi da lavoro dal 2009. Anche il rapporto di parentela non costituisce un ostacolo, perché la giurisprudenza ha riconosciuto da tempo la piena legittimità del lavoro tra familiari. Il vero nodo riguarda la dimostrabilità del rapporto. L’Inps, infatti, osserva con particolare attenzione questi casi, soprattutto quando coinvolgono familiari pensionati, temendo assunzioni non autentiche o finalizzate a ottenere prestazioni previdenziali indebite. In questo contesto, la non convivenza gioca a favore dell’imprenditore, perché fa venir meno la presunzione di gratuità tipica dei rapporti familiari.

Come dimostrare che il rapporto è autentico e perché questo fa la differenza

Perché un’assunzione di un familiare pensionato sia considerata valida, è necessario provare concretamente che il rapporto di lavoro esiste e funziona come qualsiasi altro rapporto subordinato. La Cassazione, con la sentenza n. 23919 del 26 agosto 2025, ha chiarito che l’onere della prova spetta a chi afferma l’esistenza del rapporto, quindi all’imprenditore. Anche quando non c’è convivenza e quindi non opera la presunzione di gratuità, è comunque fondamentale dimostrare che il familiare percepisce un compenso reale e che lavora seguendo direttive, orari e organizzazione interna dell’azienda.

In questo quadro assumono importanza gli “indici oggettivi” richiamati dalla Cassazione con l’ordinanza n. 4535 del 27 febbraio 2018, che individuano elementi capaci di dimostrare l’effettivo inserimento del familiare nell’impresa. Tra questi rientrano la presenza costante sul luogo di lavoro, l’osservanza di un orario preciso, il pagamento di una retribuzione economicamente significativa e documentata, oltre al fatto che l’azienda faccia affidamento sulla prestazione del familiare come parte integrante dell’attività. Tutti questi fattori contribuiscono a consolidare la credibilità del rapporto e diventano decisivi in caso di controlli ispettivi.

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Cosa succede in caso di contestazioni e quali alternative esistono

Quando l’Inps disconosce il rapporto di lavoro, le conseguenze sono pesanti sotto ogni aspetto. Dal punto di vista contributivo, l’intera posizione viene annullata: i contributi versati vengono restituiti con gli interessi, ma l’ente trattiene quanto indebitamente percepito, come gli assegni familiari, e chiede la restituzione di eventuali prestazioni erogate, ad esempio l’indennità di malattia. Sul piano fiscale, la situazione è ancora più complessa, perché costi e contributi precedentemente dedotti vengono considerati indeducibili, con conseguente ricalcolo delle dichiarazioni e applicazione di sanzioni. Questi rischi rendono evidente quanto sia importante un rapporto costruito correttamente fin dall’inizio.

Lasciare che il genitore pensionato collabori senza alcuna forma di regolarizzazione espone invece al rischio di lavoro nero, soprattutto se la collaborazione supera i limiti delle prestazioni occasionali. In caso di ispezione, gli ispettori potrebbero riqualificare l’attività come lavoro subordinato irregolare, con tutte le sanzioni previste dalla legge. Per evitare questo scenario, esistono due strade: l’assunzione come lavoratore subordinato, quando l’attività è continuativa e organizzata, oppure l’inquadramento come familiare coadiutore, soluzione possibile nelle imprese artigiane, commerciali o agricole. Questa seconda opzione consente di regolarizzare la posizione del familiare con un inquadramento previdenziale autonomo, mantenendo un rapporto coerente con la natura della collaborazione.