Educazione sessuale solo “su permesso”: via libera al ddl Valditara, cambia tutto per le scuole italiane
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Nei corridoi di Montecitorio l’aria si è fatta densa ancor prima del voto finale. Da giorni, tra dichiarazioni infuocate, flash mob e accuse reciproche, il disegno di legge firmato dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara aveva trasformato l’Aula in un palcoscenico di scontro culturale. E nel pomeriggio è arrivato il verdetto: la Camera ha approvato il ddl sull’educazione sessuale e affettiva con 151 voti favorevoli e 113 contrari. Una maggioranza solida, ma una frattura politica altrettanto evidente.
Non si tratta di introdurre l’educazione sessuale obbligatoria nelle scuole – anzi, la norma fa esattamente il contrario: introduce divieti, paletti e un meccanismo di consenso informato che, secondo le opposizioni, rende di fatto impraticabili la maggior parte dei progetti formativi già esistenti. Ora il testo approda al Senato, dove tuttavia i lavori sulla legge di bilancio fanno comprendere che la sua approvazione definitiva non sarà imminente. Ma la partita culturale è già apertissima.
Cosa cambia davvero: divieti alle elementari, permessi firmati alle medie e superiori
Al centro della legge c’è un principio chiaro: niente educazione sessuale o affettiva nelle scuole primarie. Stop totale, senza eccezioni. Dalle scuole medie in su, invece, le attività potranno essere svolte solo se accompagnate dal consenso informato dei genitori degli studenti minorenni, o dagli studenti stessi se maggiorenni. In pratica, ogni istituto che voglia proporre incontri, corsi o progetti dovrà prima consegnare alle famiglie un modulo dettagliato che specifichi contenuti, materiali didattici, obiettivi e figure coinvolte.
Il consenso dovrà essere firmato almeno una settimana prima dell’avvio del progetto. Chi non firma resta escluso e la scuola sarà obbligata a garantire un’attività alternativa. Senza docenti certificati a supervisionare gli interventi, inoltre, nessuna attività potrà essere svolta. È un meccanismo che, secondo i promotori, tutela i genitori; secondo le opposizioni, di fatto blocca sul nascere qualsiasi percorso educativo.
Il nodo più discusso riguarda la definizione stessa di “attività attinenti alla sessualità” che, in mancanza di parametri chiari, potrebbe includere perfino le lezioni di biologia sull’apparato riproduttivo. Un punto non chiarito nel testo e che potrebbe aprire a interpretazioni molto differenti tra una scuola e l’altra.

Lo scontro politico esplode: accuse di “fondamentalismo”, “malafede” e “marchette”
All’uscita dal voto, le opposizioni si sono radunate davanti alla Camera con cartelli che recitavano “Più educazione, meno violenza” e “Violenza: educare per prevenire”. Elly Schlein è stata netta: “È un passo indietro clamoroso. Si impedisce l’educazione sessuo-affettiva nelle primarie e la si rallenta nelle secondarie, proprio quando servirebbe per contrastare la violenza di genere”.
La replica della maggioranza non si è fatta attendere. Il leghista Rossano Sasso, relatore della legge, ha parlato di una “vittoria contro l’ideologia gender” e ha ribadito un concetto cardine della norma: “Nell’educazione dei figli vengono prima i genitori”. Per Fratelli d’Italia, Grazia Di Maggio ha definito “malafede” l’associazione tra consenso informato e aumento della violenza sulle donne.
Duro anche Nicola Fratoianni (Avs), che ha parlato di “rigurgito antiscientifico” e “fondamentalismo”, mentre Riccardo Magi (+Europa) ha definito il ddl una “marchetta alla lobby Pro Vita”, accusando la destra di aver costruito un provvedimento più ideologico che utile.
In Aula è risuonata anche la voce del Movimento 5 Stelle, con Gilda Sportiello che ha accusato il governo di “andare nella direzione opposta” rispetto alle necessità di un Paese dove “una donna viene uccisa ogni tre giorni”.
Intanto, mentre il testo passa al Senato, resta una domanda che attraversa famiglie, docenti e dirigenti scolastici: questa legge servirà davvero a proteggere i minori o finirà per svuotare un intero ambito educativo, proprio in un momento storico in cui la richiesta di strumenti culturali contro violenza, discriminazioni e stereotipi è più urgente che mai?
