Migranti, il dossier che travolge il governo: “Centri in Albania, soldi bruciati e strutture vuote” | Cosa dice adesso Meloni
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Per mesi l’operazione Albania era stata presentata come il fiore all’occhiello del governo Meloni, la risposta “innovativa e coraggiosa” all’emergenza migratoria. Ma oggi, a distanza di quasi due anni dall’avvio del progetto, la narrazione si incrina davanti a un’analisi dettagliata che mette sotto accusa l’intera architettura dell’accordo con Tirana. ActionAid ha depositato alla Corte dei conti del Lazio un esposto di 60 pagine che, insieme a centinaia di documenti ufficiali ottenuti tramite accesso civico, ricostruisce mesi di spese crescenti, appalti in deroga, norme adattate in corsa, missioni costosissime e centri che – nonostante i milioni investiti – restano in gran parte vuoti o inutilizzati.
Secondo l’organizzazione, quella che doveva essere una gestione sperimentale e temporanea si sarebbe trasformata in un sistema amministrativo irregolare, tenuto in vita nonostante i richiami della giustizia italiana ed europea e incapace di produrre risultati reali. Un “modello fallito”, scrivono gli esperti, che avrebbe però bruciato risorse pubbliche in quantità senza precedenti.
Dai fondi raddoppiati agli appalti senza gara: come si è gonfiato il costo dell’operazione
Tutto inizia con la ratifica del Protocollo Italia-Albania: 39,2 milioni di euro destinati alla creazione dei centri. Una cifra già importante, ma destinata a lievitare immediatamente. Dieci giorni dopo, con il Decreto PNRR 2, la competenza passa al Ministero della Difesa e lo stanziamento sale a 65 milioni. Da quel momento, spiegano gli analisti, il modello si ripete: deroghe, affidamenti diretti, “urgenze” che giustificano procedure accelerate e poco trasparenti.
Secondo i dati raccolti da ActionAid, tra il 2023 e marzo 2025 la Difesa pubblica bandi per 82 milioni, firma contratti per oltre 74 milioni ed eroga 61 milioni di euro. Una quota enorme di questi soldi – denuncia l’esposto – sarebbe stata assegnata senza gara. Ed è qui che nasce la domanda centrale rivolta alla Corte dei conti: come è stato possibile distribuire decine di milioni di euro con così scarsi livelli di concorrenza e trasparenza?
Il team legale che firma l’esposto parla apertamente di risorse sottratte a settori essenziali come salute, giustizia e welfare per finanziare un progetto “giuridicamente inconsistente” e già bocciato in più sedi istituzionali. Non è un caso, sottolineano, che diverse sentenze abbiano giudicato il modello non conforme al diritto europeo e nazionale.

Centri vuoti, costi tripli e personale pagato fino a 18 volte di più: i numeri che fanno discutere
Alla prova dei fatti, i centri di Gjader e Shengjin non hanno mai raggiunto la piena operatività: a marzo 2025 risultava attivo solo il 39% dei posti. Ancora più impressionanti sono le cifre sui costi. A Gjader mantenere un singolo posto per due mesi costa 1.500 euro: la stessa cifra copre un intero anno nel Cpr di Modica, considerato il modello italiano per gli standard di efficienza.
Ma la voce di spesa più pesante riguarda il personale. L’esempio più eclatante è proprio Gjader: tra ottobre e dicembre 2024, il vitto e l’alloggio per le forze dell’ordine costano 105.616 euro al giorno, contro i 5.884 euro giornalieri del Cpr di Macomer. Significa quasi 18 volte di più. Se il confronto si fa con Palazzo San Gervasio, la sproporzione arriva a 28 volte. Una differenza che ActionAid definisce “fuori scala”, dovuta soprattutto a missioni internazionali, indennità maggiorate e trasferte pagate dallo Stato.
E mentre si spendevano cifre record, i posti nei Cpr italiani restavano vuoti per il 20%. Una contraddizione che si fa ancora più evidente con l’avvio della “fase due”: trasferire persone già trattenute in Italia in Albania per svolgere piccole procedure amministrative… per poi riportarle subito indietro. Nessun avanzamento, nessun rimpatrio, soltanto un enorme aumento dei costi.
Oltre alla logistica, il dossier evidenzia altri aspetti critici. Il penitenziario di Gjader, costato quasi due milioni di euro e pagato al 70%, è ancora incompleto e mai utilizzato. Lo stesso vale per gli uffici sanitari: l’Usmaf Albania, creato per gestire screening e assistenza medica, risulta vuoto da marzo 2025. La “commissione vulnerabilità”, che dovrebbe valutare le condizioni delle persone trattenute, opera solo da remoto e solo su richiesta docu
