Il confine tra diritto e abuso: la decisione che ridisegna cosa possiamo fare in 104 e in malattia
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Non tutto ciò che sembra vietato lo è davvero: la giurisprudenza ribalta molte convinzioni e tutela il dipendente più di quanto si creda
Pochi temi generano tanta ansia nei lavoratori quanto il timore di essere accusati di abuso se, durante un giorno di permesso 104 o un periodo di malattia, si svolgono attività personali o, in alcuni casi, persino lavorative. Una paura che nasce dal racconto diffuso di controlli, sanzioni severe e licenziamenti “esemplari”, che ha portato molti dipendenti a vivere queste tutele come se fossero una zona grigia, in cui un passo falso può costare il posto.
La realtà è molto più sfumata. Le recenti pronunce dei giudici mostrano infatti un equilibrio diverso, che non criminalizza la quotidianità né trasforma i permessi o la malattia in una sorta di reclusione forzata. La Cassazione e la giurisprudenza più recente hanno chiarito che non basta una commissione personale, un’uscita, o un’attività che faccia star meglio il lavoratore per giustificare un licenziamento: ciò che conta è la finalità complessiva della giornata o la compatibilità dell’attività con la guarigione. E questo cambia radicalmente il punto di vista.
Permessi 104: cosa puoi fare davvero senza rischiare di perdere il lavoro
Uno dei fraintendimenti più comuni riguarda la Legge 104. Molti credono che nei giorni di permesso si debba dedicare ogni minuto all’assistenza del familiare disabile, senza potersi concedere alcuna attività personale. Non è così. La Cassazione (Ord. n. 30722/2024) ha stabilito che il licenziamento è legittimo solo se manca totalmente il nesso tra assenza e assistenza. In altre parole, è abuso solo quando il lavoratore utilizza il permesso per scopi completamente estranei e non dedica neppure una parte della giornata alla persona da assistere.
Se invece l’assistenza c’è, anche solo concentrata in alcune ore, il lavoratore può legittimamente usare il resto della giornata per attività proprie, come riposarsi, fare la spesa o svolgere commissioni. Questo è ancora più evidente quando il contratto prevede permessi giornalieri, non orari, e quindi la norma tutela la scelta del lavoratore di organizzare la giornata secondo le necessità reali dell’assistenza.
Il confine, quindi, non è nella quantità di ore dedicate al familiare, ma nella finalità complessiva: ciò che la legge vuole punire non è la vita quotidiana, ma l’allontanamento totale dallo scopo del permesso, come chi lo usa per andare in vacanza o per attività che nulla hanno a che fare con l’assistenza.

Malattia: quando puoi uscire, lavorare e persino svolgere attività retribuite senza infrangere la legge
Altro tema carico di timori riguarda le attività svolte durante la malattia. Molti pensano che qualunque movimento fuori casa, attività sociale o persino un hobby rischi di trasformarsi in una contestazione disciplinare. Ma giuridicamente non è così. La legge non vieta di uscire, non impone il riposo assoluto e, soprattutto, non proibisce a priori lo svolgimento di un’altra attività, persino lavorativa, se questa non ostacola la guarigione.
Perché un licenziamento sia valido, il datore deve dimostrare che ciò che il dipendente ha fatto ha compromesso o ritardato il recupero. L’onere della prova è a carico dell’azienda. Questo significa che la valutazione dipende dalla patologia: un lavoro fisicamente impegnativo è incompatibile con un infortunio ortopedico, ma può essere irrilevante o perfino benefico per chi è in malattia per stress, ansia o depressione.
Se un medico ritiene che un’attività sociale, sportiva o ricreativa favorisca il benessere del lavoratore, l’azienda non può contestare la condotta, a meno di dimostrare con elementi oggettivi che quella specifica attività sia nociva. Senza una prova medica, il licenziamento è illegittimo.
Ciò che emerge con chiarezza dalle decisioni dei giudici è un principio semplice: la malattia non è una gabbia, ma un periodo in cui il lavoratore deve fare ciò che gli permette di guarire, secondo criteri medici e non aziendali.
A questo si aggiunge un altro punto spesso ignorato: l’azienda non può licenziare sommando tante piccole mancanze, se ciascuna di esse – presa singolarmente – non è grave. Il licenziamento deve basarsi su fatti seri, proporzionati e valutati singolarmente. Una serie di comportamenti lievi non può magicamente trasformarsi in una giusta causa.
E quando il licenziamento viene giudicato illegittimo, la tutela è massima: reintegra del lavoratore e pagamento di tutte le retribuzioni perse fino al ritorno in azienda. Una garanzia forte, che serve proprio a evitare abusi nei confronti dei dipendenti che fanno un uso corretto delle tutele loro spettanti.
La verità, insomma, è che la legge non punisce chi vive la propria quotidianità, ma solo chi tradisce completamente lo scopo della tutela ricevuta. Per questo, conoscere i propri diritti è spesso il primo modo per difenderli davvero.
