Scuola, arriva la stretta che divide famiglie e insegnanti: cosa cambia davvero dopo il via libera al ddl Valditara

Scuola, arriva la stretta che divide famiglie e insegnanti: cosa cambia davvero dopo il via libera al ddl Valditara

Valditara_ddl_consenso informativo famiglie_-_notizialocale.it

Un provvedimento che ridisegna l’educazione sessuo-affettiva in Italia, limitandola, subordinandola al consenso familiare e lasciando fuori un’intera generazione

Nelle ultime ore il mondo della scuola è stato travolto da un cambiamento che promette di incidere non solo sulla didattica, ma sulla crescita emotiva e relazionale di milioni di studenti. La Camera ha infatti approvato in prima lettura il ddl Valditara sul cosiddetto “consenso informato”, una norma che interviene su uno dei terreni più sensibili e controversi dell’intero dibattito pubblico: l’educazione sessuale e affettiva. Mentre il provvedimento passa ora al Senato, fuori dalle Aule la discussione esplode, perché ciò che il testo introduce non riguarda solo programmi didattici, ma il modo in cui l’Italia decide di educare la nuova generazione al rispetto, ai confini e alle relazioni.

Il ministro Giuseppe Valditara difende la riforma sostenendo che la prevenzione della violenza non passa attraverso concetti come la fluidità di genere, ma attraverso l’insegnamento del consenso e del limite personale. Le opposizioni, invece, parlano di un arretramento storico, denunciando il rischio concreto che le scuole rinuncino a proporre percorsi educativi già fragili e spesso inesistenti. E intanto cresce la domanda centrale: cosa cambierà, concretamente, dentro le classi?

Cosa prevede il ddl: divieti, firme obbligatorie e un grande vuoto sui contenuti

Il disegno di legge introduce due vincoli immediati. Il primo è il divieto assoluto di proporre percorsi di educazione sessuale o affettiva nelle scuole dell’infanzia e nella primaria. Temi che riguardano corpo, identità, orientamento o relazioni vengono considerati “troppo complessi” per bambini dai 3 agli 11 anni, che per legge resteranno esclusi da qualsiasi forma di alfabetizzazione emotiva strutturata. È un punto che ha sollevato forti critiche, perché proprio in questa fascia d’età molti Paesi europei introducono percorsi su rispetto, emozioni e confini personali.

Dalle medie in su, invece, qualsiasi attività verrà svolta solo se le famiglie firmeranno un consenso scritto. In assenza della firma, gli studenti verranno esclusi e inseriti in attività alternative organizzate senza risorse aggiuntive. Il provvedimento, però, non stabilisce quali contenuti potranno essere insegnati né quali competenze dovranno avere coloro che li terranno. Non ci sono standard scientifici, non ci sono programmi, non ci sono criteri di selezione degli enti esterni. Tutto viene rimandato alla libertà delle scuole e alla volontà delle famiglie.

È proprio questo impianto minimalista a preoccupare il fronte contrario: senza fondi, senza linee guida cogenti e con l’obbligo di ottenere consenso preventivo, molte scuole potrebbero decidere di non proporre alcun percorso. E il risultato, avvertono pedagogisti e docenti, sarebbe l’ennesima frammentazione territoriale: istituti attivi e preparati da una parte; dall’altra scuole in cui il tema non verrà mai affrontato.

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Le voci politiche e il nodo della “fluidità di genere”: perché la riforma divide

Subito dopo il voto, le opposizioni hanno manifestato davanti a Montecitorio denunciando un “colossale passo indietro”, soprattutto in un momento storico in cui l’Italia discute di violenza di genere e cultura del consenso. Mentre altri Paesi potenziano l’educazione affettiva, la riforma italiana – accusano – rischia di impedirla del tutto, trasformando la scuola in un luogo che può intervenire solo con il permesso delle famiglie.

Valditara ha risposto definendo “bugie” le critiche e ribadendo che non è parlando di fluidità di genere che si previene la violenza, ma insegnando confini e rispetto. Una lettura che si inserisce in una strategia politica più ampia: da anni, infatti, una parte della destra interpreta l’educazione sessuale come un possibile strumento ideologico, parlando di “intrusioni”, “propaganda” o “ideologia gender”. Da qui la volontà di limitare radicalmente l’intervento scolastico, soprattutto nelle età più precoci.

Nel frattempo, resta irrisolto il grande problema di fondo: l’Italia è uno dei pochi Paesi europei a non avere un curriculum obbligatorio di educazione sessuale. Il ddl Valditara non colma questo vuoto, non chiarisce chi entrerà nelle classi e non impedisce che enti privi di basi scientifiche possano proporre corsi non verificati. Gli emendamenti che chiedevano di ancorare i contenuti alle linee guida dell’OMS sono stati bocciati.

E mentre le istituzioni discutono, il risultato appare già scritto: una parte degli studenti potrà accedere a percorsi educativi, altri saranno lasciati a silenzi familiari, a internet, a pornografia precoce e a quei modelli tossici di mascolinità che proprio l’educazione servirebbe a contrastare.

Il ddl passa ora al Senato, ma il dibattito è tutt’altro che chiuso. Perché al centro non c’è solo una norma: c’è l’idea stessa di scuola e il ruolo che le si attribuisce nel formare cittadini consapevoli, rispettosi e capaci di riconoscere – e pretendere – relazioni sane.