Naspi negata per una data sbagliata: la sentenza che mette in riga l’INPS | Occhio a quando compili la domanda
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Una recente sentenza ha ribaltato il diniego dell’INPS a un lavoratore, al quale era stata negata la Naspi per una semplice data inserita in modo errato nella domanda: un caso che ora fa scuola e richiama tutti alla massima attenzione.
Secondo quanto riportato da QuiFinanza, l’episodio nasce da una richiesta di indennità respinta dall’INPS sulla base di un errore materiale: il richiedente aveva indicato una data di cessazione del rapporto di lavoro non coincidente con quella risultante dai documenti ufficiali. Un dettaglio apparentemente minimo, ma sufficiente per l’Istituto a bloccare la procedura. Questo ha portato il lavoratore a rivolgersi al giudice, ottenendo una pronuncia destinata ad avere un impatto significativo, perché mette in discussione l’interpretazione rigida adottata dall’INPS.
La sentenza, infatti, ha stabilito che un errore formale non può portare alla perdita di un diritto sostanziale quando la documentazione dimostra la veridicità dei fatti. Una presa di posizione che rafforza l’idea che la Naspi, come prestazione essenziale per chi perde il lavoro, non possa essere negata per irregolarità puramente burocratiche. E che impone all’INPS di valutare le domande in modo più aderente alla realtà, senza limitarsi a ciò che compare in un modulo.
Perché un semplice errore di compilazione ha fatto scattare il diniego
Il cuore della vicenda riguarda la differenza tra forma e sostanza. L’INPS, attenendosi alle procedure, aveva considerato l’errore di data come elemento sufficiente per respingere la richiesta di Naspi, sostenendo che la domanda fosse “inesatta” e dunque non valida. La normativa prevede infatti che la cessazione del rapporto debba essere comunicata in modo corretto, essendo un requisito centrale per verificare il diritto alla prestazione. Tuttavia, il lavoratore aveva presentato tutta la documentazione comprovante l’effettiva data di fine rapporto, informazioni che avrebbero permesso all’Istituto di correggere facilmente la piccola imprecisione.
Il giudice ha ritenuto che questa mancata considerazione degli elementi allegati fosse contraria ai principi di correttezza amministrativa. Secondo la pronuncia, infatti, il compito dell’INPS non è punire l’errore formale, ma accertare la verità dei fatti e garantire che la tutela prevista dalla legge raggiunga chi ne ha realmente diritto. Un orientamento che invita a riconsiderare il peso attribuito ai dettagli tecnici, richiamando l’Istituto a un approccio più equo e ragionevole nella gestione delle domande.

Le conseguenze della sentenza e cosa deve fare chi richiede la Naspi
La decisione del tribunale non riguarda solo il singolo lavoratore, ma apre uno spiraglio per tutti coloro che, nel tempo, si sono visti respingere la prestazione per motivi simili. La sentenza, infatti, ribadisce un principio fondamentale: quando la documentazione allegata è coerente e dimostra i requisiti necessari, l’INPS non può ignorarla basandosi su un vizio formale. È un richiamo forte al modo in cui l’amministrazione deve valutare i casi, soprattutto in un sistema che spesso vede il cittadino penalizzato da cavilli difficilmente individuabili al momento della compilazione.
Questo non significa, però, che gli utenti possano permettersi leggerezze. Anzi: il caso mette in evidenza quanto sia importante compilare la domanda Naspi con estrema precisione. Gli esperti ricordano che la piattaforma dell’INPS, pur essendo più intuitiva rispetto al passato, non segnala sempre gli errori con immediatezza e tende a considerare definitivi i dati inseriti. Per questo motivo è essenziale controllare con attenzione la data di cessazione del rapporto, l’ultima busta paga, i periodi contributivi e ogni dettaglio richiesto.
La raccomandazione è chiara: prima di inviare la domanda, va verificato ogni campo più di una volta. E se si ha un dubbio, è consigliabile rivolgersi a un patronato o a un consulente del lavoro, che possono effettuare un controllo preventivo. Perché, come dimostra il caso riportato da QuiFinanza, un singolo errore può trasformarsi in un rifiuto, obbligando il cittadino a intraprendere un percorso legale lungo e stressante, sebbene la sentenza recente lasci intendere che la sostanza dei requisiti debba sempre prevalere sulla forma.
