Eredità, prezzo troppo basso non è una vendita: la sentenza che manda in panico chi vuole favorire un solo figlio

Eredità, prezzo troppo basso non è una vendita: la sentenza che manda in panico chi vuole favorire un solo figlio

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La Cassazione ribalta anni di strategie familiari: ora basta un prezzo troppo basso per far scattare la donazione, senza bisogno di provare la simulazione.

Nelle famiglie italiane, le liti ereditarie non iniziano quasi mai davanti a un notaio. Nascono molto prima, quando un genitore decide di vendere un immobile a uno dei figli a un prezzo che non ha alcun legame con il valore reale. Una cifra simbolica, quasi un gesto d’affetto nascosto dietro un atto formale. Finché, alla morte del genitore, quel “favore” diventa la miccia che innesca lo scontro tra fratelli.

Per anni, però, chi tentava di far rientrare quel bene nell’eredità si scontrava con ostacoli procedurali enormi. La Cassazione, con la sentenza n. 24040/20, ha però cancellato uno dei più pesanti: non serve più dimostrare che la vendita era simulata, perché una vendita a prezzo vile può essere considerata donazione indiretta con prove molto più semplici da produrre. Una decisione che rivoluziona la strategia processuale e apre un varco nuovo per chi ritiene leso il proprio diritto di legittima.

La storia che ha cambiato le regole: una vendita sospetta e l’errore che ha bloccato tutto

La vicenda da cui tutto è partito è una delle più comuni nelle successioni. Alla morte della madre, un figlio scopre che la sorella aveva ricevuto un immobile pagandolo un prezzo così basso da risultare fuori mercato. Convinto che dietro quel trasferimento si nascondesse un arricchimento ingiustificato, chiede al giudice di far rientrare quel bene nella massa ereditaria per tutelare la propria quota di legittima. La Corte d’Appello, pur riconoscendo che la madre poteva aver voluto favorire la figlia, respinge la richiesta con una motivazione puramente tecnica: per inserire quel bene nel calcolo dell’eredità sarebbe stato necessario impugnare l’atto per simulazione. Poiché il fratello non aveva chiesto formalmente di dichiarare “finta” la vendita, la causa non poteva proseguire. Un formalismo che avrebbe reso impossibile la tutela degli eredi in moltissime situazioni.

È proprio questo muro procedurale che la Cassazione decide di abbattere. I giudici chiariscono infatti che una vendita a prezzo stracciato non è automaticamente una simulazione: può essere una vendita reale, voluta da entrambe le parti, ma usata come mezzo per realizzare una donazione indiretta. Ed è proprio questa la chiave. Se si tratta di donazione indiretta, non è necessario ricorrere all’azione di simulazione, con tutte le rigidità probatorie che comporta. Si può invece provare la volontà liberale con testimonianze, presunzioni, perizie di stima e documenti, senza alcun divieto. Una rivoluzione che evita agli eredi il rischio di trovarsi davanti a un atto inattaccabile solo perché non esiste una controdichiarazione scritta.

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Prezzo troppo basso? Per la legge è già una donazione: cosa cambia ora nelle cause ereditarie

Il cuore della decisione sta nella natura del cosiddetto negotium mixtum cum donatione, la figura con cui una vendita reale, formalmente corretta e voluta, incorpora un intento di arricchimento. Quando un genitore vende un immobile da 200.000 euro al figlio per 20.000 euro, nessuna delle due parti finge che la vendita non esista. L’accordo è vero, il pagamento avviene davvero, ma l’enorme differenza di valore costituisce la parte “donata”. È qui che la Cassazione ribadisce un principio fondamentale: la donazione indiretta non richiede alcuna simulazione e, soprattutto, può essere provata liberamente. Non serve dimostrare che l’atto fosse una messinscena, basta provare che il prezzo fosse sproporzionato e che il venditore ne fosse consapevole.

Questa impostazione ha effetti enormi sulle liti ereditarie. Una volta provata la sproporzione tra prezzo e valore di mercato, l’eccedenza deve essere conteggiata nella massa ereditaria attraverso la collazione. Significa che il figlio che ha pagato meno deve “restituire” virtualmente la differenza per permettere una divisione equa tra tutti gli eredi. Se il bene valeva 100 e il figlio ha pagato 20, entrano 80 nella massa ereditaria. E tutto ciò senza dover attaccare l’atto come simulato, senza dover dimostrare che la vendita fosse finta e senza essere legati alle rigide norme che impediscono l’uso di testimoni.

Per gli avvocati, la sentenza segna un cambio di rotta netto: nelle cause di successione non è più necessario montare complessi procedimenti di simulazione, spesso destinati a fallire per mancanza di prove scritte. La strategia corretta diventa quella di concentrarsi sul valore reale del bene al momento della vendita, affidandosi a perizie tecniche e ricostruzioni economiche che mostrino la libera intenzione di favorire un figlio rispetto all’altro. La donazione indiretta, una volta accertata, permette di riequilibrare la successione senza colpi di scena procedurali, perché ciò che conta non è più il nome del contratto, ma l’effetto reale che ha prodotto: un arricchimento che deve essere riportato nella divisione ereditaria.