Condominio, stop al risarcimento per i rumori notturni: la Cassazione blocca le richieste basate su semplici lamentele | ecco cosa devi provare davvero contro il vicino
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La Suprema Corte ha confermato un principio chiave: anche se i comportamenti contestati violano il regolamento condominiale, questo non basta per far scattare automaticamente il diritto al risarcimento. Per ottenere un indennizzo è necessario dimostrare, con elementi seri e oggettivi, che le immissioni sonore superano la soglia della normale tollerabilità prevista dall’art. 844 c.c. e che hanno provocato un pregiudizio concreto a un diritto della persona tutelato dalla Costituzione.
Il caso di Bologna: vent’anni di liti, studenti, verbali e nessuna prova “forte”
Tutto parte nel 2003, quando i proprietari di un appartamento al piano rialzato di uno stabile bolognese citano in giudizio i vicini del piano superiore. Gli alloggi sopra di loro erano affittati a studenti universitari e, secondo gli attori, da quelle abitazioni provenivano in modo costante schiamazzi, voci, trascinamenti di sedie e docce notturne tali da rendere impossibile il riposo e minare il loro equilibrio personale.
I proprietari del piano rialzato sostenevano che quei rumori violassero sia il regolamento di condominio, sia il limite della normale tollerabilità previsto dalla legge, chiedendo non solo la cessazione delle condotte disturbanti, ma anche il riconoscimento di un danno non patrimoniale per lo stress e il disagio accumulati nel tempo. I convenuti respingevano ogni addebito, chiamando in causa gli studenti inquilini e i rispettivi genitori.
Nel frattempo, la storia del condominio si intreccia con quella del procedimento: intervengono il Comune, vengono redatti verbali della Polizia Municipale, si susseguono cambi di conduttori e anche i decessi di alcuni proprietari originari, sostituiti in giudizio dagli eredi. In primo grado il Tribunale accoglie in parte le richieste degli attori, ritenendo che le immissioni sonore fossero effettivamente intollerabili e condannando gli eredi dei proprietari del primo piano a un risarcimento significativo.
La musica cambia nel 2019, con la sentenza della Corte d’Appello di Bologna. I giudici di secondo grado ribaltano la decisione, sostenendo che non fosse stata raggiunta una prova sufficiente dell’intollerabilità delle immissioni. Viene evidenziato, ad esempio, che le quattro chiamate alla Polizia Municipale richiamate dagli attori erano avvenute prima della mezzanotte, e che alcuni condomini avevano descritto i rumori come rientranti nella normale vivibilità di uno stabile abitato. Da qui il diniego del risarcimento, poi impugnato in Cassazione dagli originari attori.

Cosa ha deciso la Cassazione: regolamento condominiale, prove e limiti al risarcimento
Con la sentenza n. 31021/2025, la Corte di Cassazione conferma la linea della Corte d’Appello, cogliendo l’occasione per ribadire alcuni principi di fondo sulle immissioni in condominio. Prima di tutto, gli Ermellini precisano che il fatto che un regolamento condominiale preveda limiti più severi rispetto all’art. 844 c.c. non significa che, in caso di violazione, il danno risarcibile sia automatico. La tutela aquiliana resta subordinata alla dimostrazione di un pregiudizio serio e concreto, tale da incidere su un diritto costituzionalmente rilevante della persona, come già chiarito dalle Sezioni Unite del 2008 in materia di danni non patrimoniali.
In altre parole, anche se un comportamento è in astratto contrario alle regole del condominio, questo di per sé non basta per ottenere soldi a titolo di risarcimento. Occorre provare che l’immissione sia davvero intollerabile e non semplicemente fastidiosa, e che abbia prodotto un danno effettivo, oggettivamente accertabile. Nel caso esaminato, la Cassazione sottolinea che la lunga istruttoria non aveva restituito un quadro chiaro: le testimonianze erano eterogenee e talvolta contraddittorie, i verbali della Polizia Municipale non avevano mai riscontrato rumori anomali nelle notti delle chiamate e gli episodi descritti sembravano rientrare più nella normale convivenza condominiale che in una situazione di oggettiva intollerabilità.
La Suprema Corte ricorda, inoltre, che la valutazione delle prove è compito del giudice di merito e che il proprio sindacato di legittimità può intervenire solo in presenza di motivazioni del tutto illogiche, apparenti o mancanti. Nel caso concreto, la motivazione della Corte d’Appello è stata ritenuta coerente e adeguata, motivo per cui il ricorso è stato respinto.
Il messaggio che esce da questa decisione è chiaro: chi intende agire contro il vicino per rumori notturni deve essere pronto a dimostrare, con prove concrete, che quei rumori superano il livello di normale tollerabilità e incidono in modo serio sulla propria vita. Non bastano registrazioni sporadiche, lamentele generiche o il semplice richiamo al regolamento condominiale. Senza un quadro probatorio solido, la richiesta di risarcimento rischia di trasformarsi in una lunga e costosa battaglia destinata a concludersi con un nulla di fatto.
