Chirurgo all’Umberto I salva paziente testimone di Geova: scoppia il caso per la trasfusione
Un chirurgo dell’Umberto I ha salvato una paziente testimone di Geova con una trasfusione d’urgenza, violando la sua volontà. Ora rischia una denuncia. Un dilemma tra etica medica e libertà religiosa.
Un chirurgo del Policlinico Umberto I si trova al centro di un delicato caso che ha acceso un dibattito su etica medica, diritti del paziente e libertà religiosa. Il medico è intervenuto con una trasfusione d’urgenza su una donna di oltre cento chili, testimone di Geova, operata per un bypass gastrico e successivamente colpita da una grave complicazione.
La paziente, la cui vita era in pericolo imminente, è stata salvata, ma il chirurgo rischia ora una denuncia per violenza privata, avendo agito contro la sua espressa volontà di non ricevere sangue.
La donna, in linea con i principi del suo credo religioso, aveva infatti categoricamente rifiutato trasfusioni, anche a costo della vita. I testimoni di Geova interpretano specifici versetti biblici (come Genesi 9:3, Levitico 17:10 e Atti 15:28, 29) come un divieto assoluto di ricevere sangue in qualsiasi forma, considerandolo un peccato grave. Per loro, il sangue è sacro, simbolo della vita, e solo Dio può disporne. Il chirurgo, trovandosi di fronte a un bivio cruciale tra il rispetto delle convinzioni religiose della paziente e il suo dovere di tutelare la vita, ha scelto quest’ultima strada.
Il dilemma legale e la consultazione con la Procura

Un delicato dilemma legale richiede la consultazione con la Procura.
Di fronte alla gravità della situazione e alla necessità di un intervento immediato che prevedeva una trasfusione di plasma, il chirurgo ha agito con straordinaria tempestività e prudenza legale. Prima di procedere, si è rivolto alla Procura della Repubblica di Roma, chiedendo e ottenendo un parere preventivo. I fatti, risalenti al 18 dicembre scorso, hanno visto il medico spiegare la complessa situazione al pubblico ministero di turno, Saverio Francesco Musolino, presso Piazzale Clodio.
Il chirurgo ha illustrato le condizioni critiche della paziente, già sottoposta a un intervento di bypass gastrico, e la necessità impellente di una trasfusione a causa di una complicazione. Ha chiarito al PM l’espressa volontà della donna di rifiutare il sangue per motivi religiosi, anche in pericolo di morte. Il pubblico ministero, a sua volta, ha fornito al medico una serie di indicazioni, ribadendo un principio cardine del nostro ordinamento: la tutela della vita è garantita dalla Costituzione. Questo passaggio cruciale ha fornito al chirurgo l’autorizzazione necessaria per procedere con la trasfusione salvavita, ma ha anche posto le basi per la potenziale disputa legale futura.
Le implicazioni del caso e il dibattito etico-giuridico
Al centro del dibattito etico-giuridico le implicazioni del caso.
La paziente, grazie all’intervento tempestivo e alla trasfusione, ora sta bene e la sua vita è fuori pericolo. Tuttavia, il caso non si è concluso con l’esito medico positivo, ma ha aperto un fronte legale e un acceso dibattito etico-giuridico. La denuncia per violenza privata è una possibilità concreta, poiché il chirurgo ha agito contro la volontà esplicita della paziente, seppur con l’intento di salvarle la vita e con il supporto legale della Procura.
Questo episodio mette in luce la complessa interazione tra il diritto all’autodeterminazione del paziente, la libertà di credo religioso e il dovere etico e legale del medico di preservare la vita. La giurisprudenza italiana, pur riconoscendo il diritto del paziente di rifiutare cure, anche se salvavita, bilancia tale diritto con la tutela costituzionale della vita, specialmente in situazioni di urgenza dove il consenso non può essere espresso o reindirizzato. Il caso del chirurgo dell’Umberto I diventerà probabilmente un importante precedente, alimentando la discussione su quali siano i limiti dell’autonomia individuale di fronte a un’emergenza medica che minaccia l’esistenza stessa.
