Acque Albule, a colloquio con il presidente del Consiglio d’amministrazione
Acque Albule, a colloquio con il presidente del Consiglio d’amministrazione delle Acque Albule . Dopo che il socio pubblico e quello privato non sono riusciti a mettersi d’accordo su come dividersi i beni delle Acque Albule, il Comune ha avanzato una nuova idea di massima che, questa volta, è stata accolta. Palazzo San Bernardino, e quindi […]
Acque Albule, a colloquio con il presidente del Consiglio d’amministrazione delle Acque Albule . Dopo che il socio pubblico e quello privato non sono riusciti a mettersi d’accordo su come dividersi i beni delle Acque Albule, il Comune ha avanzato una nuova idea di massima che, questa volta, è stata accolta.
Palazzo San Bernardino, e quindi i tiburtini, resterebbe proprietari dello stabilimento termale, cedendo l’albergo e l’area Prusst al socio minoritario. Lo stabilimento sarebbe poi dato in usufrutto, così da incassare un canone annuale e liberandosi di tutte le spese per la manutenzione straordinaria ed ordinaria.
“Ad oggi è in corso una valutazione degli asset della società – ha spiegato Giovanni Mantovani, presidente del Consiglio d’amministrazione delle Acque Albule nominato dal Comune –. Si lavora all’ipotesi che il socio pubblico resti proprietario delle terme. Questa ipotesi è stata prima rifiutata e poi accettata dal socio privato. Si studia la possibilità di dare poi lo stabilimento in usufrutto. Sarebbe una soluzione gradita a tutti, il privato agirebbe in piena autonomia, il Comune incasserebbe un canone e si sgraverebbe da tutti gli interventi di manutenzione. Si sta lavorando su numeri e proposte, al momento. Se si arriverà ad un possibile accordo sarà poi sottoposto alle Commissioni consiliari competenti e poi Consiglio comunale”.
La base di tutto, quindi, resta la divisione degli asset. “Lo stabilimento da una parte, dall’altra l’hotel e l’area Prusst. Poi ci sono da valutare gli altri immobili non strategici”, ovvero le due palazzine di piazza Catullo, i locali dell’ex bar Paradiso e quelli che ospitano il fast food, l’Agenzia delle entrate e lo studio dentistico.
Altre strade percorribili per cedere le Terme non ce ne sarebbero, per lo meno in pratica. Diversa, invece, la teoria.
“La vendita del 60% è possibile – ha spiegato Mantovani –. Come è possibile il riacquisto del 40 %. Il socio privato si è messo già in condizione di ridare la sua parte, ma con un arbitraggio che ha valutato l’azienda 40 milioni. Quindi il Comune dovrebbe spendere 16 milioni. Il rischio, essendo trascorso qualche anno dalla valutazione del tribunale, è che l’Amministrazione debba poi rivendere le azioni ad un prezzo di mercato inferiore a quello stabilito dai periti, con un danno economico per la cittadinanza”.
“Stiamo ora sciogliendo i nodi creati negli anni precedenti – prosegue il presidente del Cda –, quando è stato concesso al socio privato di esercitare la Put (la possibilità di obbligare il socio maggioritario a ricomprare le sue azioni, ndg). È un macigno che pende sulla collettività”.
I tempi per scrivere il futuro delle Acque Albule non sarebbero neanche troppo lunghi. “Si spera che entro la fine dell’anno si possa chiarire se l’ipotesi è fattibile o meno”.
Questo della scissione non è l’unico fronte su cui l’Amministrazione è al lavoro. Si sta cercando una soluzione per gli appartamenti invenduti delle due palazzine di piazza Catullo, finite più e più volte agli onori della cronaca per le polemiche sulla costruzione e la vendita come normali abitazioni.
“Stiamo valutando, con l’assenso dei soci, progetti di housing sociale con la possibilità che Cassa Depositi e Prestiti Investimenti Sgr possa acquistare l’intero lotto B. Poi, previa convenzione con il Comune, gli appartamenti sarebbero affittati a canoni agevolati a particolari categorie. Sarebbe il primo progetto di housing sociale realizzato dal comune di Tivoli”.
