Visto da me/ Edward Hopper in mostra al Complesso del Vittoriano
Di Roberta Mochi Dal 1 ottobre fino al 12 febbraio 2017 oltre 60 opere di uno dei protagonisti assoluti del XX secolo Edward Hopper saranno esposte al Complesso del Vittoriano. La retrospettiva è stata organizzata e prodotta da Arthemisia group con il Whitney Museum of American Art di New York sotto l’egida dell’Istituto per la […]
Di Roberta Mochi
Dal 1 ottobre fino al 12 febbraio 2017 oltre 60 opere di uno dei protagonisti assoluti del XX secolo Edward Hopper saranno esposte al Complesso del Vittoriano. La retrospettiva è stata organizzata e prodotta da Arthemisia group con il Whitney Museum of American Art di New York sotto l’egida dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano, in collaborazione con l’Assessorato alla Crescita culturale.
I curatori, Barbara Haskell e Luca Beatrice scelgono di mettere in evidenza i paesaggi pieni di luce e la vita borghese di inizio secolo, utilizzando capolavori come Le Bistro or The Wine Shop (1909), Summer Interior (1909), New York Interior (1921), South Carolina Morning (1955) e Second Story Sunlight (1960).
Il fulcro dell’esposizione è il seducente olio su tela Soir Bleu i cui circa due metri di lunghezza scioccarono gli spettatori del 1914, destinandolo a restare arrotolato per anni nello studio del pittore.
Dagli acquerelli parigini agli scorci degli anni ‘50 e ’60, il percorso mette in mostra anche gli interessantissimi studi, i bozzetti, i carboncini, le punte secche che esaltano il superbo disegnatore ed evidenziano la mano da illustratore pubblicitario, mestiere che svolse per la C.C. Phillips & Company fino al 1925 e che costituì per un lungo periodo la sua unica fonte di reddito.
Hopper è il pittore del realismo americano, un uomo schivo e taciturno, che chiarisce la propria poetica con una sola frase “Se potessi dirlo a parole, non ci sarebbe alcun motivo per dipingere”. Utilizza composizioni fotografiche, in una rielaborazione di quegli impressionisti francesi e vitali che aveva ammirato a Parigi. Architetture metafisiche, con sofisticati giochi di luci fredde e taglienti sono gli strumenti con cui l’artista dipinge il silenzio della società moderna, anche per questo amatissimo dai grandi registri della scena internazionale, da Hitchcock a Dario Argento passando per David Lynch, Wim Wenders ai fratelli Coen de’ L’uomo che non c’era.
“Forse non sono troppo umano ma il mio scopo è stato semplicemente quello di dipingere la luce del sole sulla parete di una casa”, ed è di questa luce che vi sentirete inondare attraversando i corridoi dell’allestimento del complesso del Vittoriano.
