Visto da me/The Legend of Tarzan
Di Roberta Mochi D’estate, lo sappiamo bene, di cinema se ne vede ben poco. A meno che non siate appassionati di horror – e sulle uscite della stagione 2016 ce ne sarebbe parecchio da dire – potete ripiegare su un blockbuster, sia esso di animazione o un remake di grandi classici, come nel caso di […]
Di Roberta Mochi
D’estate, lo sappiamo bene, di cinema se ne vede ben poco. A meno che non siate appassionati di horror – e sulle uscite della stagione 2016 ce ne sarebbe parecchio da dire – potete ripiegare su un blockbuster, sia esso di animazione o un remake di grandi classici, come nel caso di The Legend of Tarzan, per la regia di David Yates.
La storia nota a tutti viene raccontata con molti flashback, mentre si snodano le vicende stereotipate di un Congo sfruttato e violentato per avidità da re Leopoldo II. La pellicola, mostra grandi e meravigliosi scenari africani e prova ad attualizzare la trama con degli innesti inutili e maldestri spesso anche troppo patinati, finendo per privare completamente il Signore delle Scimmie di tutto il suo fascino.
Così, il nostro Tarzan/Skarsgård, con i suoi addominali scolpiti, corre su rami umidi e coperti di muschio con stivali di cuoio – che non serve Carrie Bradshaw per capire quanto siano scivolosi ma almeno non sono le orride ballerine di pezza di Lex Barker, suo predecessore nello stesso ruolo negli anni ’50 – si lancia dalle liane come Spiderman tra i grattacieli e ingaggia da solo una lotta contro il Belgio, con l’auto di 4 leoni e un branco di gnu. Deriva Comic anche per il suo antagonista, Capo Mbonga, a metà strada tra Black Panther e un lottatore di wrestling, che si trasforma presto in una piagnucolosa e inerte mammoletta.
Uso smodato della cgi, che rende le immaginarie scimmie Mangani totalmente avulse dall’ambiente circostante ma che anche quando resta credibile non è mai seducente. Insomma, non arriviamo a dire che “Tarzan è morto” come Ty Burr sul Boston Globe perché il suo mito non tramonterà mai, ma di certo non siamo al cospetto dell’intimismo travagliato di Lord Greystoke interpretato da Christopher Lambert.
Bravissimo e divertente invece Samuel L. Jackson, che sembra appena uscito da un set di Tarantino, e altrettanto bravo Cristoph Waltz che interpreta con Leon Rom uno dei suoi personaggi migliori, il cinico e garbatissimo cattivo della storia.

