Post maternità, se ti cambiano mansione è illegale | hai diritto a stesso stipendio e ruolo: devi fare questa domanda
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Tornare al lavoro dopo la maternità non dovrebbe mai significare dover rinunciare al proprio ruolo o alle proprie competenze. La legge italiana tutela in modo chiaro le lavoratrici che rientrano in azienda dopo la nascita di un figlio, vietando qualsiasi forma di demansionamento o discriminazione legata alla gravidanza e alla genitorialità.
Secondo il Testo Unico sulla maternità e paternità (D.Lgs. 151/2001), nessuna lavoratrice può essere penalizzata o assegnata a mansioni inferiori a quelle svolte prima del congedo. Il datore di lavoro è obbligato a reintegrare la dipendente nella stessa posizione o in una equivalente per livello, stipendio e responsabilità. Qualsiasi modifica peggiorativa, anche indiretta, rappresenta una violazione della normativa e può essere impugnata davanti all’Ispettorato del Lavoro o al giudice competente.
Il rientro dopo la maternità è un momento delicato, spesso segnato da riorganizzazioni interne o da cambiamenti nelle dinamiche aziendali. Tuttavia, l’azienda non può giustificare lo spostamento della lavoratrice a compiti di minor valore con motivazioni organizzative o di opportunità. Se il ruolo originario non è più disponibile, deve essere assegnato un incarico equivalente, con pari dignità e retribuzione.
Cos’è il demansionamento e come si riconosce
Per demansionamento si intende l’attribuzione di mansioni inferiori rispetto a quelle precedentemente svolte, sia per contenuto professionale sia per livello di responsabilità. Può manifestarsi in diversi modi: l’assegnazione a compiti meramente esecutivi, l’esclusione da progetti o decisioni aziendali, la riduzione delle attività senza giustificazioni valide. In molti casi il demansionamento è accompagnato da un clima di isolamento o svalutazione professionale, che può sfociare in un vero e proprio mobbing.
Il demansionamento post maternità è considerato particolarmente grave, perché colpisce una categoria protetta dalla legge. Il datore di lavoro che lo attua può essere sanzionato con il risarcimento del danno economico e morale, oltre all’obbligo di ripristinare il corretto inquadramento. In caso di contenzioso, la lavoratrice ha diritto al risarcimento anche se il danno non è quantificabile con precisione, in quanto la perdita di professionalità è riconosciuta come lesione della dignità personale.

Come tutelarsi e a chi rivolgersi
Chi ritiene di essere vittima di un demansionamento può rivolgersi ai sindacati, ai consulenti del lavoro o direttamente all’Ispettorato Territoriale, che può avviare un’indagine e intimare all’azienda di ripristinare le condizioni originarie. È importante raccogliere prove come e-mail, ordini di servizio o testimonianze che dimostrino il cambiamento delle mansioni. La tempestività è fondamentale: agire subito permette di evitare che la situazione diventi cronica o comprometta la carriera.
In alternativa, è possibile intraprendere un’azione legale davanti al tribunale del lavoro, chiedendo sia il risarcimento del danno sia la riassegnazione del proprio ruolo. Le sentenze degli ultimi anni hanno ribadito con forza che il rientro dalla maternità deve essere accompagnato da misure di sostegno, flessibilità e rispetto dei diritti della madre lavoratrice. Qualsiasi atteggiamento punitivo o discriminatorio è in contrasto con i principi costituzionali di uguaglianza e tutela della famiglia.
La normativa italiana, tra le più avanzate in Europa, mira a garantire che la maternità non diventi un ostacolo alla carriera, ma un’esperienza compatibile con la crescita professionale. Le aziende sono tenute a favorire la conciliazione tra vita privata e lavoro, anche attraverso smart working, part-time o orari flessibili. In caso contrario, rischiano sanzioni e danni reputazionali.
Ogni madre che rientra in ufficio ha diritto al rispetto della propria professionalità. Conoscere la legge è il primo passo per difendersi e far valere i propri diritti: la maternità è un valore, non un limite. E nessuna donna dovrebbe mai essere costretta a scegliere tra la famiglia e la dignità del proprio lavoro.
