Trinità dei Monti, donna cade e chiede un risarcimento | No della cassazione: “Caduta per distrazione, non per i gradini sconnessi”

Trinità dei Monti

Trinità dei Moni (Pixabay) - NotiziaLocale

Niente 130 mila euro: per gli Ermellini la scalinata è antica ma non intrinsecamente pericolosa e le condizioni erano visibili. Condannata la ricorrente a 7.700 euro di spese.

Che la scalinata di Trinità dei Monti presenti irregolarità è cosa nota: è un bene monumentale antico, da preservare senza interventi ordinari invasivi. Ma per la Corte di Cassazione, in questo caso, non è il “pavé storico” ad aver causato la caduta di una donna che chiedeva un risarcimento da 130 mila euro al Campidoglio: la responsabilità va ricondotta alla distrazione della stessa, che avrebbe dovuto prestare maggiore attenzione in presenza di un manufatto così noto per la sua conformazione. Con questa motivazione, gli Ermellini hanno respinto il ricorso, confermato i verdetti di primo e secondo grado e condannato la ricorrente al pagamento di 7.700 euro di spese.

La vicenda risale al 5 luglio 2014. Scendendo la prima rampa della scalinata, la donna è caduta riportando lesioni serie: lussazione del gomito sinistro con frattura di capitello radiale e coracoide, oltre alla frattura del piede sinistro. Seguono intervento chirurgico e un quadro di postumi permanenti stimati al 22%, con inabilità temporanea totale per 90 giorni e parziale per ulteriori 90. Da qui la richiesta di risarcimento per “cattiva manutenzione” dei gradini, ritenuti sconnessi e scivolosi. Ma né il Tribunale né la Corte d’appello avevano riconosciuto un nesso causale sufficiente a far scattare la responsabilità del Comune; ora la Cassazione chiude definitivamente la porta al ristoro economico.

I fatti ricostruiti dai giudici: visibilità piena e scalinata “non intrinsecamente pericolosa”

Nella motivazione, gli Ermellini riprendono gli elementi emersi in appello: il tempo era bello, non pioveva, la visuale era libera e la donna non era preceduta da altre persone. In questa cornice, la condizione dei gradini era “a lei visibile”. La Corte sottolinea inoltre la natura e conformazione della scalinata, bene di assoluta rilevanza artistica, storica e turistica, “di per sé non intrinsecamente pericolosa”. L’argomento chiave è un distinguo netto: una “caduta su una scala” non coincide automaticamente con una “caduta a causa della scala”. Per configurare la responsabilità del custode serve dimostrare che l’evento sia “conseguenza normale delle specifiche e particolari condizioni della cosa custodita”. Qui, secondo i giudici, quella prova non c’è.

Conta anche la fisiologia del bene. Trattandosi di una scalinata monumentale, “ontologicamente priva di un dinamismo proprio” e sulla quale il Comune “non ha, se non di norma, la possibilità di interventi” perché incompatibili con la tutela delle caratteristiche originarie, il baricentro del giudizio si sposta sulla condotta del fruitore. In altre parole: quando si interagisce con un’opera antica e irregolare, occorre adottare normali cautele. La stessa ricorrente aveva riferito di indossare scarpe basse e di aver percepito scivolosità pur in assenza di pioggia, ma per i giudici queste circostanze non bastano a trasformare l’irregolarità storica in vizio fonte di responsabilità pubblica.

La linea della Cassazione: prevedibilità del rischio e dovere di cautela per chi utilizza un bene storico

La tesi della ricorrente – assenza di cartelli di pericolo e di presidi antinfortunistici – non convince i giudici: su un bene storico di quel tipo, la segnaletica non può sostituire il dovere di diligenza, e neppure può giustificare interventi che snaturino l’opera. Laddove non emergano insidie occulte o difetti anomali non percepibili con l’ordinaria attenzione, la responsabilità per “cosa in custodia” non scatta. Da qui il rigetto del ricorso e la condanna alle spese.

Il verdetto ha risvolti pratici. Per chi gestisce luoghi storici, ribadisce l’esigenza di un equilibrio: manutenzioni compatibili, informazione ove possibile, ma senza trasformare un monumento in un cantiere permanente. Per i cittadini e i turisti, richiama a una regola semplice: su gradini antichi, si scende piano, guardando dove si mettono i piedi. In questo caso, la Corte ha ritenuto che le condizioni del giorno – bel tempo, luce, assenza di affollamento – rendessero l’eventuale rischio prevedibile e superabile con cautele ordinarie. E quando il pericolo è prevedibile, la “colpa” scivola dal marmo al comportamento.