Addio a Ornella Vanoni | È morta a 91 anni la signora della canzone italiana
Ornella Vanoni (Rai Play) - NotiziaLocale
La musica italiana perde una delle sue voci più riconoscibili e amate. Ornella Vanoni è morta a 91 anni nella sua casa di Milano, città in cui era nata il 22 settembre 1934 e alla quale è sempre rimasta legata. Interprete elegante, ironica, spesso controcorrente, Vanoni ha attraversato più di settant’anni di storia del Paese, cambiando generi, linguaggi e collaborazioni, ma restando sempre fedele a un modo unico di stare in scena: asciutto, emotivo, profondamente personale.
Secondo quanto riportato dagli organi di stampa, la cantante è deceduta per un arresto cardiaco, dopo un periodo segnato da problemi di salute e da un ricovero per dolori alla schiena e alla colonna vertebrale. Fino agli ultimi mesi aveva continuato a raccontarsi in interviste, sui social e in televisione, parlando con sorprendente lucidità del tempo che passa e della morte, vissuta come una presenza naturale, da affrontare senza paura. La sua scomparsa lascia un vuoto nel mondo dello spettacolo, ma anche nella memoria affettiva di generazioni cresciute con le sue canzoni.
Dagli esordi a teatro ai grandi successi in musica: una vita in scena
Nata in una famiglia benestante – il padre era un imprenditore nel settore farmaceutico – Ornella Vanoni studia in collegi in Italia e all’estero, imparando lingue e coltivando una sensibilità artistica che la porta presto verso il palcoscenico. Prima ancora di diventare cantante, infatti, è attrice al Piccolo Teatro di Milano, diretta da Giorgio Strehler. È proprio lì che lotta con timidezza e paure – come lei stessa ha raccontato più volte – e che impara cosa significhi affrontare il pubblico, sera dopo sera.
Negli anni Sessanta arriva la svolta definitiva verso la musica. Vanoni si impone come “cantante della mala”, interpretando brani che raccontano il mondo ai margini di Milano, tra cronaca nera, amori sbagliati e vite irregolari. È un repertorio insolito per una voce femminile dell’epoca, che contribuisce a renderla diversa, riconoscibile, lontana dagli stereotipi della “brava ragazza” della canzone leggera. A poco a poco, però, il suo percorso si allarga: arrivano i festival, la televisione, le collaborazioni con grandi autori e colleghi.
Tra le canzoni che restano nella memoria collettiva ci sono “Senza fine”, pubblicata nel 1961, e “Domani è un altro giorno”. Ma il brano che forse più di tutti l’ha resa conosciuta anche oltre i confini italiani è “L’appuntamento”, versione italiana di un successo brasiliano di Roberto ed Erasmo Carlos. Uscita negli anni Settanta, la canzone ha avuto una seconda vita nel 2004, quando è stata scelta per la colonna sonora del film “Ocean’s Twelve”, portando la voce di Vanoni al pubblico internazionale e facendola scoprire anche dalle generazioni più giovani.:contentReference[oaicite:0]{index=0}
Nel corso della carriera incide decine di album, spaziando tra canzone d’autore, jazz, bossa nova e pop. Lavora con artisti come Gino Paoli, Toquinho, Vinicius de Moraes, Lucio Dalla, e diventa musa di grandi stilisti, da Versace ad Armani. La sua immagine – capelli rossi, sguardo diretto, eleganza mai banale – diventa un tratto distintivo tanto quanto la voce, calda e leggermente velata, capace di passare da toni intimi a improvvisi lampi di ironia.
Ironia, fragilità e un addio preparato: l’eredità di una “signora”
Negli ultimi anni Ornella Vanoni aveva scelto di parlare con grande franchezza del tempo che le restava. In interviste televisive e sui giornali ripeteva spesso di non volere “morire troppo tardi”, spiegando che avrebbe voluto vivere solo finché si fosse sentita in grado di dare qualcosa alla vita e di ricevere qualcosa in cambio. La morte, diceva, non le faceva paura: la considerava un passaggio naturale, da affrontare con la stessa onestà con cui aveva affrontato la scena.
Raccontava anche di aver pensato ai dettagli del suo addio: un funerale semplice, la cremazione, le ceneri sparse in mare. Non era un vezzo, ma un modo per tenere fede a un’idea di libertà che l’aveva accompagnata per tutta la vita. Libertà nei sentimenti – i legami intensi e spesso difficili con uomini come Strehler e Gino Paoli, il matrimonio con il produttore Lucio Ardenzi –, libertà nella carriera, spesso fuori dalle mode, e libertà nel mostrarsi fragile, parlando apertamente anche dei momenti di depressione e solitudine.
Fino a pochi mesi prima della morte continuava a raccontarsi con autoironia, tra riflessioni sul corpo che cambia, confessioni di paure e battute fulminanti. Non ha mai nascosto i suoi lati più spigolosi: i nervi, i ripensamenti, l’incapacità – a volte – di essere “facile” nelle relazioni. Proprio per questo il pubblico l’ha sentita vicina: non come diva irraggiungibile, ma come donna vera, con la sua storia complicata e la sua capacità di cantare l’amore e il dolore senza zucchero.
Oggi resta un’eredità enorme: una discografia vastissima, una sfilza di canzoni che continuano a suonare in radio, nei film, nelle playlist, e un modo di stare sulla scena che ha aperto la strada a molte artiste venute dopo. Resta anche il ricordo di un’artista che non ha mai smesso di mettersi in discussione, di cambiare, di cercare nuove collaborazioni, anche con musicisti più giovani, fino quasi agli ultimi anni di vita
Nel salutarla, l’immagine che molti porteranno con sé è quella di una donna “in piedi”, capace di ridere di sé, di parlare di morte come di una compagna vicina ma non minacciosa, e di trasformare la propria storia in musica. Le sue canzoni restano, come lei stessa avrebbe voluto: senza fine, appunto, come il titolo di uno dei suoi brani più amati.
