Meloni e il “fioretto dell’alcol”: perché questa frase nasconde molto più di quanto sembri
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La premier trasforma una rinuncia personale in un messaggio politico potentissimo: il Natale come campo di battaglia identitario e simbolico.
Quando Giorgia Meloni, sorridendo, ha risposto a chi le offriva da bere che “non se ne parla, ho fatto il fioretto, brindiamo a Natale”, molti hanno pensato a una battuta di stagione, un modo come un altro per alimentare il clima festivo. E invece no. Perché quando una presidente del Consiglio lega la propria immagine a un riferimento religioso, quel gesto non è mai casuale. A maggior ragione se avviene a ridosso del Natale, il periodo dell’anno in cui la destra italiana gioca una delle sue partite simboliche più importanti.
Il fioretto, nelle parole della premier, diventa così una dichiarazione di appartenenza, un segnale lanciato a un elettorato che da sempre premia chi mostra di condividere e difendere valori tradizionali, cristiani e identitari. Meloni lo sa bene: ogni dicembre, la narrazione politica torna a spostarsi verso presepi, tradizioni, simboli religiosi e – soprattutto – la contrapposizione con chi viene percepito come una minaccia culturale. E in questo quadro, un piccolo gesto privato può trasformarsi in un messaggio estremamente efficace.
Il significato politico di un fioretto: non è fede esibita, è strategia
Per capire perché la scelta di Meloni non sia affatto casuale bisogna osservare il contesto. Da anni la destra italiana costruisce parte del proprio consenso sulla difesa della tradizione cattolica, reinterpretata come scudo identitario dell’Occidente. Matteo Salvini ci si è tuffato più volte, brandendo presepe e crocifisso come simboli di una “cultura da proteggere” contro presunte invasioni e contaminazioni. La premier, con il suo “sono cristiana”, ha sempre calibrato con attenzione questi riferimenti, usandoli quando più conveniente per rinsaldare il rapporto con la base culturale più conservatrice.
E non è la prima volta che Meloni muove così. Al meeting di Rimini, in piena estate, si era presentata proprio per ribadire vicinanza e ascolto verso il mondo cattolico, cardine del centrodestra da decenni. A Padova, durante i festeggiamenti per la vittoria di Alberto Stefani, è bastata una frase – un “ho fatto il fioretto” – per riaffermare la stessa appartenenza. Non è un dettaglio: è un segnale. Un messaggio accuratamente articolato per essere percepito proprio da quel pubblico.

Dalla “rivoluzione del presepe” all’ascesa nei sondaggi: il ruolo dei simboli
Chi pensa che si tratti di pura spontaneità sottovaluta il peso dei simboli nella costruzione dell’immagine politica della destra. Meloni lo ha dimostrato già nel 2017, quando lanciò la sua “rivoluzione del presepe”, rivendicando con decisione un gesto presentato come controcorrente rispetto a una società troppo attenta – secondo lei – a non offendere altre culture. Era lo stesso schema che portò FdI dal 6,4% delle europee 2019 al 26% delle Politiche 2022: l’uso sapiente del tradizionalismo come identità, non solo come fede.
Anche Silvio Berlusconi, maestro assoluto della comunicazione politica, aveva compreso l’efficacia dei fioretti come gesto pubblico: confessò a Bruno Vespa di aver rinunciato a fumo, gioco e ballo per ottenere “favori divini”. In Italia, la religione non è mai solo un fatto spirituale: è un linguaggio politico potentissimo. Meloni lo conosce, lo maneggia, lo piega al momento opportuno per restare ben salda non solo al governo, ma anche nell’immaginario di un elettorato che vede nel Natale un simbolo nazionale oltre che religioso.
E mentre Salvini festeggia la nuova forza ottenuta in Veneto, la premier preferisce muoversi con prudenza. In politica i gesti contano più delle parole, e Meloni sa che in questi giorni pre-natalizi ogni dettaglio può fare la differenza. Anche un semplice spritz rifiutato.
