Don Coluccia lancia l’allarme: ‘Stato assente, Roma nelle mani del welfare criminale | il prete antimafia rompe il silenzio sui clan
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Roma raccontata da Don Antonio Coluccia non è solo la città dei palazzi del potere e dei grandi eventi, ma una Capitale attraversata da welfare criminale, vuoti istituzionali e quartieri dove lo Stato arriva poco o nulla. Dal palco di Atreju, la kermesse politica di Fratelli d’Italia, il prete antimafia rompe gli equilibri del dibattito con parole nette: la riforma di Roma Capitale, spiega, avrà senso solo se servirà a riconoscere la dignità delle periferie e delle persone che le abitano, quelle che oggi vivono ai margini e spesso finiscono nelle mani dei clan.
Nel suo intervento all’interno del panel dedicato a urbanistica, trasporto pubblico, emergenza abitativa, decoro urbano e commercio, Don Coluccia non si limita alle analisi astratte. Descrive una città concreta, dove ogni giorno “entrano tonnellate di droga” e dove, in troppe zone, non esiste solo un disagio sociale ma un vero e proprio “Stato parallelo gestito dai clan”, strutturato e organizzato. Una fotografia dura, che mette al centro non solo le responsabilità criminali, ma anche quelle politiche e istituzionali.
“Welfare criminale” e istituzioni assenti: la denuncia del prete antimafia
Per Don Coluccia il punto non è solo la presenza della criminalità, ma il modo in cui questa ha preso il posto dello Stato. Parla apertamente di welfare criminale, un sistema che offre risposte dove le istituzioni sono sparite: soldi facili, protezione illusoria, aiuti economici che però hanno un prezzo altissimo in termini di legalità e futuro. “Oggi nella nostra Capitale entrano tonnellate di droga – denuncia – il vero problema di questa città è che c’è un welfare criminale, uno Stato parallelo gestito dai clan, organizzato a tutti gli effetti”.
Il sacerdote insiste sul tema dei vuoti istituzionali: “Per troppo tempo ci sono stati dei vuoti istituzionali: l’emarginazione e la disperazione sono cresciuti in questa città”. Dove lo Stato arretra, spiega, avanzano l’illegalità e la rassegnazione. In molti quartieri, le persone che lui incontra ogni giorno vivono in condizioni di bisogno strutturale, e non si tratta solo di mancanza di reddito, ma di assenza di servizi, spazi, opportunità. È qui che, secondo Don Coluccia, diventa urgente “ristabilire la giustizia sociale” e riportare la presenza concreta delle istituzioni.
Un passaggio centrale riguarda il tema dello spaccio. “Lo spaccio non è secondario in questa città”, avverte. Non si tratta di episodi isolati, ma di una rete diffusa che arriva a coinvolgere anche i più giovani: “I minori non accompagnati che arrivano a Roma finiscono nelle piazze di spaccio”. La sua è una denuncia precisa: la droga è “democratica”, raggiunge tutti, e questo welfare criminale “fa economia”, perché i soldi del traffico vengono riciclati nelle attività, alimentando un circuito che si auto-rigenera.

Riforma di Roma Capitale, periferie e cultura della bellezza: da dove ripartire
Dentro questo quadro duro, la riforma di Roma Capitale diventa per Don Coluccia una possibile svolta, ma solo se non resterà un dibattito astratto. “La riforma di Roma Capitale può servire per riconoscere la dignità delle periferie, e delle persone che vivono in questi luoghi”, afferma. Non si tratta, sottolinea, di una questione solo amministrativa o di poteri, ma di una scelta politica precisa: portare servizi, opportunità e presidi reali dove oggi dominano abbandono e marginalità.
Per cambiare davvero, secondo il sacerdote, bisogna “portare la cultura della bellezza”: scuole funzionanti, trasporti degni di questo nome, spazi pubblici curati, presidi sociali e culturali che sostituiscano l’attrazione del crimine. “Lo Stato è tale quando porta i servizi alla cittadinanza”, ricorda. Nelle periferie, aggiunge, “dovremmo parlare di diritti privati. Tutti hanno diritto a una possibilità”. È un modo per dire che non esistono cittadini di serie B: chi vive ai margini della città non deve essere dimenticato o usato solo come tema di campagna elettorale.
Don Coluccia lega la lotta alla droga a una sfida che va ben oltre le forze dell’ordine: “La lotta alla droga non può essere fatta solo dalle forze di polizia: è una lotta culturale, di partecipazione sociale”. Servono comunità presenti, associazioni, parrocchie, scuole, famiglie, amministrazioni locali che facciano fronte comune. E serve soprattutto rompere il silenzio. “In questa città si spara troppo, anche di giorno: dobbiamo parlarne di queste cose. Tacere significa avere delle responsabilità”, conclude.
Nelle sue parole non c’è solo denuncia, ma anche una direzione possibile: riconoscere le periferie come cuore della riforma, riempire i vuoti istituzionali con presenze concrete, trasformare il welfare criminale in welfare di comunità. Perché Roma possa dirsi davvero Capitale, sostiene Don Coluccia, deve prima di tutto tornare a essere capitale di diritti, sicurezza e dignità per chi oggi si sente lasciato solo.
